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Io non posso sapere com’è veramente
il volto della mia mamma
“Io non vivo con mio padre -ha tagliato cor-
to la ragazzina- vivo con la nonna”.
“E tua madre? Dov’è?”.
“Mia madre è morta mentre stava andando
sul campo di combattimento”. Dalla sua vo-
ce non trapelava alcuna emozione.
“Tua madre era nell’esercito?”.
“Sì”.
“E tu con chi stavi?”.
“Con la nonna. Non ricordo com’era la mia
mamma”.
“Quanti anni avevi?”.
“Avevo nove mesi”.
“Conosco mia madre solo dalle foto. Ho pa-
recchie foto sue. Le guardo spesso, quando
la nonna non mi vede. Su una foto i suoi ca-
pelli sono lunghi, quasi come i miei adesso,
e sull’altra sono corti, perciò non so esatta-
mente com’era. Continuo a guardarle e a
pensare. Com’era veramente la mia mam-
ma? Nessuno vuole parlare di questo con
me. L’ho chiesto alla nonna, ma lei non fa
altro che piangere. Prende le foto e dice:
“Ecco, questa è la tua mamma”. E io mi
chiedo tuttora com’era veramente il volto
della mia mamma. Quelli sulle foto mi si
mescolano tutti e non è la stessa cosa quan-
do qualcuno sulla foto ha i capelli lunghi o
i capelli corti. La cosa che vorrei di più al
mondo è sapere: com’era lei veramente?
“Ora che sono cresciuta, prendo le sue foto,
quella con i capelli lunghi e quella con i ca-
pelli corti. Le metto una vicina all’altra e le
osservo. Poi provo a socchiudere un po’ gli
occhi e cerco di creare il volto. Però non va.
È come se qualcosa mi impedisse di imma-
ginare com’era. Mi sforzo, ma il suo volto
non c’è.
“Una volta, una donna mi ha detto che sono
quasi come mia madre alla mia età. Ma io
non le credo. Lei me lo dice soltanto così per
dire. La cosa che vorrei di più al mondo è
sapere lei com’era. Non importa se con i ca-
pelli lunghi o corti. Vorrei solo sapere.
“Prima, quand’ero più piccola la sognavo.
Poi mi svegliavo e piangevo a lungo…
“È molto triste non sapere com’era vera-
mente la propria mamma”.
Il martello
La strada per arrivare al paese è stretta. A
fatica percorriamo il sentiero e finalmente,
deviando, entriamo nel paese. Una volta,
probabilmente, era pieno di vita. Ora sem-
bra addormentato, quasi in un sonno pro-
fondo. Intorno, tante case distrutte, solo al-
cune in via di ricostruzione. Dai loro cami-
ni, il fumo. Davanti, i bambini corrono e le
donne sono alle prese con le loro faccende.
Ci avviciniamo alla scuola. Illuminata dallo
splendore del sole di montagna sembra ir-
realmente bianca. Intorno alla scuola un
grande cortile. Come al solito ci attendono
gli insegnanti e i bambini. Entriamo nella
classe. I visi curiosi dei bambini ci osserva-
no. Aspettano. Nelle loro teste i tanti rac-
conti che desiderano condividere con gli al-
tri del gruppo. È tutto come al solito. L’al-
legro gioco dei bambini turbato dai ricordi
pesanti legati alla guerra. Qui è sempre co-
sì. Anche quando un incontro inizia con un
racconto di qualcosa di bello, allegro, poi va
a finire con la narrazione di cose brutte,
successe in questi luoghi.
Questa volta un ragazzino raccontava del
suo incontro con i soldati nemici: “Mentre
mio padre ed io stavamo tagliando la legna
vicino alla linea di separazione, quelli ci
avevano preso i cavalli”.
Mentre parla sul suo viso si legge la paura.
Forse anche perché la linea di separazione
si trova vicino al posto dove noi ci troviamo
a parlare.
Nelle vicinanze si sente un “tup tup”. E di
nuovo un “tup tup tup”. Ascolto. Ora uno,
poi due. Ora insieme. Il ragazzo continua a
raccontare. Dice che suo padre e lui sono
riusciti a malapena a ritornare da quel po-
sto. Si sono persi. Più tardi anche i cavalli,
come per miracolo, sono ritornati. I ragazzi
ascoltano il suo racconto e quei suoni. Tutti
gli fanno qualche domanda. Lui risponde in
fretta e diventa rosso perché il suono di quel
“tup tup tup” è aumentato. Chiedo: “Ragaz-
zi, cos’è questo rumore che si sente?”. Per
un istante si alzano tutti. Ascoltano.
“Aahhh, quellooo…?”. Il sorriso spunta sui
loro visi.
“Stanno mettendo il tetto su una casa”.
“Con tutta questa neve intorno?”.
“Naturalmente. La cosa più importante
nella vita è avere una casa!”. I ragazzi si
avvicinano alla finestra.
“Ecco, guarda, è lì che stanno mettendo il
tetto su quella casa”. Guardo fuori dalla fi-
nestra. Vedo delle persone sul tetto. Stanno
lavorando, sono in tanti ed è da lì che pro-
viene quel “tup tup”. Ci salutiamo con il
gruppo fino alla settimana successiva
Il suono. La vita che torna nel villaggio ci
accompagna. Com’è bello sentire quel suo-
no. Ci avviciniamo alla casa che stanno co-
prendo con il tetto. I battiti del martello so-
no ancora più allegri. Le persone sul tetto
diventano sempre più grandi, il suono più
forte. Qualcuno grida ad alta voce, “Masal-
lah, masallah” (“Bravo, bravo”, Ndr).
I vicini di casa e i parenti portano a quelli
che stanno coprendo la casa alcuni doni per
esprimere la loro gioia. È giusto che sia co-
sì. Come sono allegri i battiti dei martelli!
La vita sta tornando nel villaggio.
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Estratti da “Djeca pamte - I bambini ricordano”
I bambini ricordano
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