Layout 1 - page 43

vento e la loro pesantezza quando anche so-
lo pensarle evoca emozioni che tolgono il re-
spiro.
Nel pomeriggio a Potocari c’è più gente del
giorno prima. La marcia sta per arrivare e
ampi capannelli si formano vicino alla mo-
schea dove sono in corso le prime preghiere,
oltre il grande cancello di entrata. Da lon-
tano si vedono le bandiere che scendono
dalla collina; ancora qualche decina di mi-
nuti e le avanguardie dei camminatori si
affacciano dentro il memoriale. I gruppi so-
no compatti, così come vogliono gli organiz-
zatori, per dare il senso di una partecipa-
zione massiccia. Nei tanti che assistono
all’arrivo cala il silenzio, che si accorda al-
l’istante con la forte emozione ugualmente
silenziosa di chi ha oramai raggiunto la
propria meta: scoprire l’immensa distesa di
cippi bianchi a Potocari, arrivando a mi-
gliaia dopo 90 chilometri di cammino attra-
verso le colline è un’esperienza difficile da
dimenticare.
Più tardi c’è infine il trasferimento delle ba-
re dall’hangar al prato vicino alla moschea.
Insieme ai parenti spiccano le mimetiche di
un folto gruppo di militari, disarmati come
è stato sempre in questi giorni. Se ne stan-
no seduti per terra, defilati. Quando è il
momento, si alzano e danno una mano. Il
corteo dei feretri comincia a uscire dal
grande portone. Molti sono portati a spalle
da uomini e ragazzi in maglietta, per il
gran caldo; dove mancano i portatori ci so-
no i soldati.
Potocari, 11 luglio
La giornata di sole ha senz’altro favorito il
pellegrinaggio di migliaia e migliaia di per-
sone.
Auto e pullman arrivano da ogni parte. Al
memoriale si popolano prima gli spazi in
piano oltre i cancelli e i viottoli fra i cippi.
Poi, pian piano, la gente si sparge fra le
tombe e risale la collina: i fazzoletti di tutti
i colori che le donne portano in capo contri-
buiscono a mitigare la tristezza e la solen-
nità del momento. La folla è seduta per ter-
ra o si sposta lentamente nelle direzioni più
varie. È in ogni caso quella folla il soggetto
portante della cerimonia. Sul prato sono al-
lineate le 136 bare in attesa della sepoltu-
ra. La loro presenza fisica rende ogni cosa
più vera e concreta. C’è un rapporto profon-
do e indissolubile fra i feretri e la folla, ma
esso si estende anche alle autorità che do-
vranno prendere la parola e che si sentiran-
no guardate a vista da quei morti.
Ed ecco che, poco dopo le 11, la cerimonia
ha inizio e quelle stesse autorità fanno la
propria comparsa una dopo l’altra. Tutto si
svolge all’interno dell’hangar e l’immagine
degli intervenuti viene proiettata su uno
schermo. I discorsi sono brevi e costruiti
con cura. Le lingue solo due. Chi viene dal-
la Bosnia o dai paesi della ex-Jugoslavia
non ha difficoltà a farsi capire. Gli interna-
zionali come Bill Clinton, la Boldrini o il
presidente turco Erdogan, parlano invece
in inglese. La folla ascolta distrattamente e
non sembra fare grandi preferenze.
Il clima si accende improvvisamente solo
quando il presidente della Serbia Vucic, al-
la fine degli interventi, viene aggredito con
sassi e scarpe mentre attraversa uno stret-
to corridoio di folla per avviarsi all’uscita.
Al suo arrivo a Potocari le donne di Srebre-
nica hanno mostrato di apprezzare il gesto
di omaggio che la sua venuta indubbiamen-
te rappresenta, e questo malgrado le ben
note affermazioni di fuoco da lui fatte in
passato contro i musulmani. Ma quell’acco-
glienza, positiva e autorevole, alla gente
non basta. Forse i primi a inscenare l’ag-
gressione erano già lì preparati ad agire. È
difficile dirlo. A contare di più è, in ogni ca-
so, che l’atteggiamento della gran parte dei
presenti non esprima alcuna forma eviden-
te di dissociazione. La ferita è ancora aper-
ta e può produrre reazioni imprevedibili. Se
il presidente serbo ha deciso, per accredi-
tarsi agli occhi dell’Europa, di presenziare
alla commemorazione di un genocidio che il
suo paese si rifiuta di riconoscere, questo
purtroppo non significa che siano date le
condizioni sufficienti per un riavvicinamen-
to più esteso e duraturo fra le parti. E, in
ogni caso, il ventesimo anniversario di Sre-
brenica, nella sua forza simbolica, sarà an-
che ricordato per quel gesto di evidente
ostilità.
(Reportage pubblicato originariamente
su Una città n. 223, giugno-luglio 2015)
43
sul prato sono allineate le 136 bare
in attesa della sepoltura. La loro
presenza rende ogni cosa più vera
Quaderno nr. 4 della Fondazione Alexander Langer Stiftung, Onlus
ottobre 2015
Responsabile: Edi Rabini
Realizzato da Andrea Rizza Goldstein, Giulia Levi, Sandro Ottoni
Dedicato alle molte persone che, per tempi più o meno lunghi e in modi diversi,
hanno contribuito ad avviare nutrire e far crescere qualche fiore a Srebrenica.
E naturalmente alle straordinarie persone di Bosnia che ci hanno donato attenzione e amicizia.
Un ringraziamento particolare alla Fondazione Benetton - Premio Carlo Scarpa per il giardino
e alla rivista Una città, che ci hanno concesso di riprendere per l’occasione preziose interviste,
foto e testi da loro raccolte, curate e pubblicate.
Un altro grazie alla Green Foundation, al Gruppo parlamentare dei Verdi europei,
alla Presidenza della Camera, al Forum dei Cittadini di Tuzla, a Tuzlanska Amica, ai membri
dell'International Network for Srebrenica, che hanno reso possibile e autorevole questo doppio
ventennale.
Le foto che non hanno indicazione dell'autore sono di
Andrea Rizza Goldstein
Grafica, impaginazione e realizzazione:
Società cooperativa Una Città, Forlì
Stampa
. Galeati Imola (Bo)
Fondazione Alexander Langer Stiftung, onlus Via Bottai/Bindergasse 5 I-39100 Bolzano/Bozen
Tel. + Fax 39 0471 977691
Cassa di Risparmio/Südtiroler Sparkasse
IBAN: IT91S0604511613000000555000
BIC: CRBZIT2B059
Quaderno 1,
ottobre 2012
sfoglialo su: unacitta.it/flip/iran
Quaderno 2,
dicembre 2013
sfoglialo su: unacitta.it/flip/donatori
Quaderno 3,
maggio 2015
unacitta.it/flip/lampedusa-brennero
Realizzato con il contributo
della Presidenza della Provincia Autonoma
di Bolzano, Ufficio Affari di Gabinetto
1...,33,34,35,36,37,38,39,40,41,42 44,45,46,47,48
Powered by FlippingBook