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ro un forte attaccamento ai valori tradizio-
nali fondati sul patriarcato, grazie anche
alla diffusa tendenza dei figli -in gran parte
obbligata- a rimanere a lungo in famiglia;
la difficoltà ad accettare le differenze anche
solo con i vicini di casa; un forte senso della
dignità a scapito del valore attribuito alla
libertà dell’individuo; una generale passivi-
tà soprattutto nel rapporto con la politica.
Non mancano peraltro i dati positivi: sulla
capacità mostrata da molti ragazzi di affer-
mare il proprio talento, sulla crescente di-
sponibilità a far parte di organizzazioni
sportive senza una specifica qualificazione
etnica e altro ancora.
Emerge in ogni caso un quadro difficile e
pieno di contraddizioni, di fronte al quale -
dice Irfanka Pasagic- non va mai dimenti-
cato che l’educazione è sempre luogo di spe-
rimentazione, come lo è di necessità la Bo-
snia-Erzegovina per le particolarità spesso
inedite che la caratterizzano. Una cosa però
non può essere trascurata. Il percorso che
porta fuori dalla guerra è e resta un percor-
so doloroso. Solo parlando della guerra è
possibile, dopo, sentirsi più leggeri. Non è
dato vivere con un segreto in casa.
La parola passa infine ai membri di Adopt.
Tocca per primo a Nemanja Zekic, presi-
dente dell’associazione, cui è stato assegna-
to il premio Langer. I giovani -dice- si sen-
tono spesso intrappolati fra futuro e passa-
to, vogliono vivere ma si sentono impediti.
Su di loro viene spesso esercitata da parti
opposte una forte pressione, che li riporta a
un passato di cui sanno poco e che proprio
per questo è come se li trascinasse all’indie-
tro. Tutti arrivano, lanciano i loro messaggi
e se ne vanno. Ora però il gruppo di Adopt
ha imparato a reagire attraverso la discus-
sione al suo interno. La sua forza è di esse-
re un gruppo misto costituito da serbi e bo-
sgnacchi. Sempre più spesso alla fine le de-
cisioni vengono prese all’unanimità. Come
di recente, per quanto è accaduto alla mo-
glie di un membro dell’associazione. Assun-
ta all’asilo di Srebrenica, ha deciso di anda-
re al lavoro con il capo coperto. Un gruppo
di genitori ha firmato una lettera in cui si
minacciava di ritirare i figli da scuola, giu-
dicando quella maestra incapace di svolge-
re il proprio compito educativo. Adopt ha
discusso della cosa e ha espresso un giudi-
zio unanime contrario alla dichiarazione
dei genitori.
A Tuzla hanno portato il loro spettacolo
“Dimmi se mi ami” i Modus Danza di Sie-
na. Sempre a Tuzla il convegno si è chiuso
con un concerto dei Donatori di musica
(Guido Arborelli, Giorgio Dellarolle, Nata-
lia Benedetti, Chiara Parolo, Francesco Se-
ri), che hanno coinvolto un folto gruppo di
giovani musicisti dell’orchestra Balsika di
Tuzla. Il pittore bosniaco Safet Zac ha mes-
so a disposizione alcuni suoi quadri nella
sala del convegno.
Sarajevo, 6 e 7 luglio
Quando si arriva a Sarajevo è la città a im-
porsi, ad aprire i suoi spazi nei quali è dif-
ficile non inoltrarsi. Ed è un bene. Si può
capire meglio come sia possibile continuare
a vivere, malgrado tutto e per il gusto di vi-
vere. A Sarajevo è tempo di anniversari:
cent’anni e qualcosa dall’inizio della Prima
guerra mondiale, settant’anni dalla Libera-
zione, vent’anni da Srebrenica. Di tutto que-
sto c’è ampia traccia in città, grazie a varie
mostre più o meno impegnative. Sono tutti
anniversari di guerre dure e sanguinose, ma
per fortuna non sono il passato e la guerra a
prevalere nella Sarajevo di oggi.
Se poi di quello si vuole parlare a ogni co-
sto, per interesse specifico o per deforma-
zione professionale, valgano a mo’ di viatico
due immagini fra le tante. La prima è ri-
portata sul manifesto di una mostra dedi-
cata alla Prima guerra mondiale esposta
nella madrasa sita di fronte alla grande
moschea del centro. A prima vista sembra
di avere sotto gli occhi il ritratto di una fan-
ciulla. In realtà è la fotografia di un piccolo
profugo dalla Turchia, un maschio, che, per
ricordarle, ha voluto annodare alla propria
capigliatura la treccia di una delle due so-
relline morte di stenti.
La seconda si riferisce a un oggetto conser-
vato presso il Museo di storia dove è offerta
al pubblico una ricca collezione che illustra
la realtà dell’assedio durante l’ultima guer-
ra. Si tratta di un aggregato di parti metal-
liche trovate qua e là, chiamate a costituire
un generatore di elettricità. L’assemblaggio
durò parecchi mesi e fu seguito da tutto il
quartiere nella speranza che un giorno il
complesso marchingegno avrebbe dato la
luce. Alla fine l’opera fu compiuta. Il motore
cominciò a scoppiettare, ma dopo poco si
fermò. Definitivamente.
Skocic, 8 luglio
Diretti a Srebrenica abbiamo lasciato da
poco la riva della Drina, che segna il confi-
ne con la Serbia. Siamo nei luoghi delle in-
cursioni dei paramilitari di Belgrado all’ini-
zio della guerra. Ci fermiamo in un villag-
gio lungo la strada, un villaggio di rom mu-
sulmani. Per una via sterrata arriviamo a
una casa di tre piani, abbandonata. È stata
costruita nel 1989 dal padre di Zijo Ribic
che è con noi e ci fa da guida. Saliamo qual-
che gradino fra le ortiche ed entriamo. Ogni
cosa è stata strappata via, compresi i fili
la sua forza è di essere un gruppo
misto di serbi e bosgnacchi. Spesso le
decisioni vengono prese all’unanimità
e potrei averne abbastanza
di questa narrazione che conosco
che di nuovo mi attorciglia
ma ripenso alla vergogna e alla mia
che risuona in questi giorni, così
mentre ascolto le date e i numeri
comincio a vergognarmi
di me, di noi tutti, di questa specie
e mi commuovo senile e sospettoso
Poi a pranzo, dalle donne
-sopravvissute all’eccidio
della Opz “Potocnica”
Cooperativa “Nontiscordardimè”
alla fattoria di queste donne
musulmane gentili lontane,
Edi, (in)esauribile atamano
del dire fare langheriano,
lieto per un po’ scatta le foto
della tavolata in campagna
all’aperto con bibite e pite
(e niente vino) e carni e dolci
un pranzo contadino
Truismo di guerra 2:
la vergogna, Hasan
- La vergogna è un sentimento
di inadeguatezza
sostiene Fabio alla conferenza
e leggiamo Primo Levi e la vergogna:
«di omissione di soccorso»
«di non aver fatto abbastanza»
«di essere stati menomati»
«di un sospetto: che ognuno
sia il Caino di suo fratello»
la vergogna «che il giusto prova
davanti alla colpa commessa da altrui,
e gli rimorde che esista, che sia stata
introdotta irrevocabilmente
nel mondo»
E quante le vergogne al mondo?
La vergogna è un’emozione spuria
ambigua, debole perché non dura
cova la paura del giudizio altrui
e ha furia di sfuggire al proprio
E se invece: fosse un dubbio?
non ero io? con la maschera perfetta?
cricchi di tarli crepiti allarmi
dunque ero indegno al mio ideale?
l’ho tradito?
il piancito marcito che ticchetta
emozione che mi culla, mi vergogno
eppure non me ne faccio nulla
Poi: la vergogna degli spettatori
l’imbarazzo della pietà effimera
del non sentire abbastanza
del non saper rispondere
del ...
- ma siamo pur qui compassionevoli
& solidali, sì d’accordo ma serve?
gli serve? ci serve? e le ali?
com’è che non abbiamo ali?
Com’è che andiamo a piedi
e ci striscia l’ombra dei nostri assilli
e che sarà la dedizione agli altri
un’occupazione in più?
la distrazione dall’affanno?
amore? per certi che non l’hanno?
Dopo si alza Hasan,
dice lui ormai si vergogna
di parlare del passato
dai conoscenti è scansato
dacché lui si ostina a quella gogna
di ripensare quello che è stato
Il padre, la madre, il fratello, gli amici
persi, venti anni sono trascorsi
sotterra i morsi del dolore i morti
l’orrore - la vita va avanti
gli sussurrano in tanti
Così, per non mostrare la sua fretta
lui gli racconta ’na barzelletta.
Jovan Divjak
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