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famiglia spaziosa e moderna e Hamdija
aveva costruito la propria accanto a quella
di suo padre. Lì avevano anche lo spazio
per le mucche e le pecore. Nell’orto e nei
campi coltivavano il cibo per la famiglia e
allevavano il bestiame.
Hamdija, Beriz e il terzo fratello, che non è
nella fotografia, erano ben accettati dalla
compagnia. Si vestivano in modo giovanile,
moderno per quel periodo e per l’ambiente
in cui vivevano. Ascoltavano musica rock,
soprattutto quella straniera, spesso ad alto
volume, facendo arrabbiare i loro genitori.
Sulle pareti avevano i poster delle band
preferite, come si vede anche nella fotogra-
fia. Gli piaceva giocare a calcio e quasi ogni
giorno risuonavano nel cortile le urla dei
giovani che rincorrevano il pallone. Aveva-
no anche una piccola camera oscura per
sviluppare le fotografie. A Beriz piacevano
molto le colombe e le allevava. Sua mamma
Fata nella fotografia ne tiene una tra le
mani. Le famiglie Osmanovic e Divovic tra-
scorrevano del tempo insieme, dato che
avevano rapporti di vicinato e i familiari si
visitavano a vicenda, stavano in compagnia
mangiavano la
halva
, la
cetenija
e altri dol-
ci che facevano insieme. Festeggiavano le
festività del Bajram, i compleanni, e non
perdevano occasione per ritrovarsi.
Purtroppo la guerra ha interrotto la vita
spensierata di queste famiglie. Hakija e El-
vedin Divovic sono scomparsi nel luglio del
1995. Hakija è stato trovato e sepolto a lu-
glio 2005 nel cimitero di Potocari. Elvedin
non è stato trovato e la mamma Magbula
sta ancora cercando il corpo del figlio. Al-
l’epoca aveva 18 anni… erano insieme fino
a che i militari non li hanno separati, a Po-
tocari.
Beriz Osmanovic è morto ucciso da un cec-
chino. Era andato a prendere l’acqua a Li-
kare. Si era seduto per riposarsi un po’ ed è
stato colpito. I vicini di casa hanno portato
il suo cadavere in una stanza della casa di
famiglia, senza dire niente alla madre.
Vennero in tanti e la madre si chiedeva il
perché, non sapendo ancora che suo figlio
giaceva morto nell’altra stanza. È difficile
per una madre affrontare la dolorosa veri-
tà… La cosa più difficile per una madre è
perdere un figlio… La cara Magbula ha
condiviso con me la sua dolorosa storia: “Ti
strappano cuore e anima, vivi ma non sai
come”.
Fata è morta nel 2009, mentre Hamed nel
2014. Delle persone ritratte nella foto oggi
solo Hamdija è vivo, trascorre il tempo fa-
cendo avanti e indietro tra Tuzla e Potoca-
ri. Si prende cura delle proprietà di fami-
glia e dei ricordi dei genitori, del fratello...
È legato alla casa di famiglia e nonostante
tutti gli impegni riesce a trovare tempo per
far sì che la vita a Potocari, nella casa degli
Osmanovici, continui con il profumo dell’in-
fanzia e della giovinezza. In tutto ciò è aiu-
tato dai membri della sua famiglia.
Non ero consapevole di dove mi stessi av-
venturando andando alla ricerca delle sto-
rie delle persone ritratte nella fotografia. È
uno scrigno di ricordi di persone che non ci
sono più. Ricordi dolorosi e vividi allo stesso
tempo. Sono grata alle persone che hanno
condiviso con me la storia della foto e le
emozioni (Harisa, Jasmina, Magbula)…
Non è così facile.
Sono tornata alla mia infanzia, ho cercato
le foto negli album di famiglia, ho pensato
a tutte le persone care che mi circondavano,
che hanno lasciato la propria traccia nei no-
stri cuori e la prova della loro esistenza nel-
le foto.
Le storie devono essere raccontate, glielo
dobbiamo.
È lunga la storia della scelta di questa foto,
però ve la racconto, perché su questa foto
c’è mio padre e perché è l’ultima che sono
riuscito a trovare. In un certo senso, è quel-
la che suscita più emozioni in me, probabil-
mente perché è “fresca”.
Il primo attacco aperto, diretto e immediato
con armi da fuoco a Osmace è avvenuto l’8
maggio 1992. Da quel giorno Osmace è sta-
ta costantemente e continuamente sotto at-
tacco, sia da parte della fanteria che dell’ar-
tiglieria. Fino al marzo del 1993, Osmace è
riuscita a resistere a tutti gli attacchi e, no-
nostante le circostanze avverse, gli abitanti
sono riusciti a continuare la propria vita.
Naturalmente, c’erano anche molti profu-
ghi che lì avevano trovato riparo e salvezza,
in luoghi dove ogni giorno le persone veni-
vano uccise e ferite. Dopo mesi di offensiva
da parte dell’esercito della Republika
Srpska, ovvero dei “cetnici”, Osmace è ca-
duta. In quei momenti molti hanno perso
familiari, cugini, amici, vicini, e tutti abbia-
mo perso anche la nostra casa, i nostri beni,
gli oggetti cari e tra questi anche le foto. Le
foto sono il ricordo più prezioso che ci lega
ai nostri padri, fratelli, nonne, nonni, zii, al
nostro passato, al nostro luogo d’origine...
Azem e Branko sono nati nel 1954, Slavka
nel 1961, mentre Suljo, penso, nel 1941.
Azem, Branko e Suljo sono maestri, Slavka
è la segretaria della scuola.
Questa era una delle gite che venivano or-
ganizzate ogni primavera per insegnanti e
alunni alla fine dell’ottava classe.
Durante queste escursioni si cercava sem-
pre di visitare luoghi della memoria, come
Jasenovac, Kragujevac o Sutjeska, il luogo
della famosa battaglia durante la Seconda
guerra mondiale.
Durante la guerra, Branko e Slavka erano
a Bijeljina. Slavka lavorava come infermie-
ra, dato che aveva frequentato la scuola in-
fermieristica. Branko lavorava come mae-
stro, ma ha anche preso parte attiva nel-
l’esercito della Republika Srpska.
Azem e Suljo sono stati a Srebrenica duran-
te tutta la guerra, da quando è stata dichia-
rata area protetta nell’aprile del 1993. In-
sieme agli altri colleghi hanno rimesso in
funzione il sistema scolastico. Nel corso del
primo anno di guerra era impossibile aprire
le scuole e Azem e Suljo lavoravano in con-
dizioni molto difficili affinché i bambini po-
tessero recuperare il tempo perso. Impara-
re qualcosa, in quelle circostanze, permet-
teva ai bambini di tornare un po’ alla nor-
malità.
Suljo è stato identificato e sepolto a Potoca-
ri nel 2009, mentre mio babbo purtroppo
non ancora. Poco tempo fa ho ricevuto una
chiamata dall’Icmp (Centro per la ricerca
delle persone scomparse) e mi hanno chie-
sto se avessi qualche informazione dato che
loro, in tutti questi anni di ricerca, non ne
avevano trovata nessuna.
Centro di documentazione: Muhamed Advic
Azem e Suljo
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