Senka Trolic, 20 anni, di Sarajevo, ora studia in Italia.

Si sono ubriacati. Che sappia io è la prima volta. Anche la mamma me l'ha detto: "Per una volta, in una occasione come questa, si può fare, cosa ne dici?" E io ho detto che hanno fatto bene. Chi non ha provato la vita di Sarajevo in questi quattro anni non può capire cosa sia stato sentire il rumore degli aerei che finalmente vengono a liberarti. E i miei genitori e i loro amici hanno bevuto, hanno brindato, pur sapendo che l'incubo non p ancora finito. Me l'hanno raccontato, ma è come se ci fossi stata anch'io. Io invece ero in Italia, dove sto studiando alla facoltà di lingue per diventare interprete. Sto bene, ma per noi di Sarajevo ormai la felicità è sapere che i propri genitori, i propri fratelli sono ancora vivi. Per gli amici, purtroppo, siamo abituati al peggio: tutti abbiamo avuto degli amici uccisi. Spesso penso che quando tutto finirà li rivedrà scendere dal quartiere olimpico, dove abitavo da bambina, fino in centro, come succedeva pochi anni fa. Invece non ci sono più. La mia vita era ideale: i miei stavano bene, avevo tutto quello che volevo, sognavo solo di avere 18 anni per fare l'esame di guida, la mia famiglia era unita, avevo tanti amici e anche con loro non avevo problemi. Ovviamente non sapevo e non mi interessava sapere se erano serbi o croati o mussulmani. Non sapevo nemmeno cos'ero io, l'ho dovuto chiedere a mia madre, ma a dire il vero non lo so neppure adesso cosa sono: lei è mussulmana ma non è mai andata in una moschea, mio padre è figlio di un croato e di una serba. Cosa sono?

Sarajevo era bellissima: ci piaceva molto andare nella città vecchia, nelle stradine piccole si incontrava un sacco di gente. Poi si è cominciato a parlare della guerra, io non ci credevo, non ci sembrava possibile che potesse accadere anche in Bosnia. Mia madre era uscita dal partito comunista due anni prima della guerra: diceva sempre che l'idea era giusta, ma non le piaceva la gente che la metteva in pratica. Nel primo giorno di guerra -ma allora non lo sapevamo- siamo andati davanti all'Holiday Inn ad una manifestazione contro i partiti nazionalisti, però ci sembrava più che altro un'occasione per incontrarsi fra amici, c'erano anche tanti professori della scuola, io mi ero portata il cane. La professoressa di fisica mi ha detto: "Giovedì ti interrogherà, sei pronta?". Questo accadeva il lunedì. Poi hanno cominciato a spararci: mia madre è stata presa dal panico perchè non sono rimasta ferita solo grazie ad un signore che mi ha tirato per una mano. Non sapevamo proprio chi poteva spararci, ci siamo nascosti e abbiamo visto i cecchini, tre sul palazzo dell'Holiday, due in un palazzo vicino. Siamo andati al ponte di Vrbanja -in quella che sarebbe diventata la linea del fronte- e dove è morta la prima vittima della guerra, una ragazza: l' abbiamo capito che cosa stava succedendo, fino ad allora ci sembrava un sogno. Mia madre ed io siamo scappate a casa: mi ha fatto impressione vedere che per strada non c'era più nessuno, tutti erano chiusi in casa, c'era solo una macchina della polizia. In giro si diceva che la polizia si era divisa e non si sapeva più quale era la polizia serba, che ci sparava, e quale la nostra. Quando abbiamo visto quella macchina ci è venuto istintivo cercare di nasconderci in un cortile, ma la porta era chiusa. Per fortuna la macchina era dei nostri e abbiamo tirato un sospiro di sollievo. A casa papà era preoccupatissimo, non era voluto venire con noi perchè non gli piacciono le manifestazioni. Alla sera in televisione abbiamo sentito che la guerra stava cominciando, che diventava pericoloso girare per strada e che si doveva stare in casa. Io ancora non volevo crederci ed infatti il giorno dopo siamo andate ancora davanti all'Holiday. I cecchini sull'Holiday erano stati presi subito, gli altri no. Non eravamo tanti come il giorno prima e quando di nuovo abbiamo sentito degli spari siamo corse a casa. Il terzo giorno la mamma è tornata davanti all'Holiday, ma non mi ha voluto con sè. Io comunque la sera continuavo ad uscire per andare nella città vecchia: ancora non c'era il coprifuoco, là non si sparava. Ma nel giro di pochi giorni Sarajevo ha cominciato a morire al tramonto.

Uscivamo abbastanza tranquillamente di pomeriggio, ma alle cinque dovevamo essere in cantina, perchè con la sera cominciavano i bombardamenti. Quel periodo me lo ricordo tutto sommato come abbastanza interessante: si poteva ancora in ...[continua]

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