Michael Walzer, filosofo politico, professore emerito all’Institute for Advanced Study di Princeton, New Jersey, è entrato in "Dissent” negli anni Cinquanta e ne è stato a lungo direttore responsabile; Maxine Phillips, già direttrice nazionale dei Socialisti democratici d’America (Dsa) e direttrice esecutiva di "Dissent”, attualmente dirige, a titolo volontario, "Democratic Left” ed è membro attivo della Chiesa di Judson; Colin Kinniburgh, senior editor, e Alex Lubben, circulation manager, fanno parte della nuova generazione di "dissentnik”. Oggi la rivista è diretta da Michael Kazin.

Puoi raccontarci come è nato "Dissent”?
Michael Walzer. Irving Howe e Lewis Coser fondarono "Dissent” nel 1954. Erano entrambi professori a Brandeis. C’era quella frase che Irving amava ripetere: "Quando in politica non sai cosa fare, fondi una rivista”. Loro erano in fuga dal settarismo trotzkista e sognavano una politica post-settaria socialista e però americana. Non avevano ancora scoperto ciò che Michael Harrington ebbe poi a definire "l’ala sinistra del possibile”, ma è lì che stavano andando. La rivista era "dissenziente” in due sensi, prima di tutto rispetto all’America di McCarthy, all’età del conformismo -Irving Howe aveva scritto un articolo memorabile intitolato "L’era del conformismo”, sull’America degli anni Cinquanta; ma era dissenziente anche rispetto agli stalinisti. All’epoca la maggior parte dell’America di sinistra, con l’eccezione dei trotzkisti, era ancora sotto l’influenza dell’Unione sovietica; se non sostenitori, erano comunque apologetici. Ecco, questo era il doppio dissenso. La rivista in quei primi anni pubblicò molto materiale sull’America, ma anche sulla storia della sinistra.
Sono stato felice di vedere, nell’ultimo numero, la recensione del libro su Max Eastman: mi ha ricordato dei vecchi tempi. Max Eastman era un socialista americano; un uomo molto famoso, giovane, bello, romantico, un intellettuale che poi finì all’estrema destra, ma che negli anni Venti e Trenta era una figura di riferimento della sinistra, rappresentava l’emancipazione in tutte le sue forme e in ogni direzione.
Maxine Phillips. In quei primi numeri venne pubblicata anche Rosa Luxemburg.
Michael. Sì, e poi Isaac Deutscher, e Ignazio Silone; lui era uno degli "eroi” del primo "Dissent”; Silone, Camus, Orwell erano i tre intellettuali europei che ammiravamo. Silone scrisse un pezzo molto famoso per noi, credo fosse apparso anche in Italia in un’altra rivista, si chiamava "The Choice of Comrads”. Un pezzo davvero importante. Io non lo conoscevo personalmente, ma Irving l’aveva incontrato. All’epoca l’altro nostro autore italiano era Chiaromonte.
Colin Kinniburgh. Nella rivista entrarono anche persone come Paul Goodman. Il socialismo libertario era una formula che veniva usata all’epoca? Cioè c’era il senso di una specie di "causa comune” che teneva assieme gli anarchici e i rami democratici radicali della sinistra?
Michael. In effetti c’era l’idea che "Dissent” non avesse una linea di partito, avevamo rinunciato ad avere quella che una volta si chiamava "la posizione ideologica corretta”.
C’erano tuttavia dei paletti, delle linee rosse: non avremmo pubblicato apologie della Russia né difese del capitalismo. Rimaneva però molto spazio nel mezzo, ed eravamo piuttosto determinati a essere inclusivi. Irving aveva molto a cuore questo aspetto: niente divisioni. Già i trotzkisti non facevano altro che dividersi... Lui si impegnò molto duramente per tenere la gente dentro, anche quando c’erano forti dissidi, e ce n’erano molti, soprattutto a proposito di Israele. Ma abbiamo tutti cercato di non dividerci.
Quindi un pluralismo all’interno di alcune "linee rosse”.
Michael. Era così. Michael Harrington, per dire, fu coinvolto fin quasi dal principio, e lui era molto vicino a Dorothy Day, e veniva dalla sinistra cattolica...
"Dissent” fu fondato dopo la Guerra di Corea. Irving e Lew avevano optato per quello che avevano definito un "supporto critico” agli Stati Uniti durante la Guerra Fredda. E critici lo erano molto. Michael Harrington marciò contro la guerra di Corea... però l’avevano ...[continua]

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