Marcello Massimini, medico e neurofisiologo, è professore di Fisiologia umana presso l’Università degli Studi di Milano e Senior fellow del Canadian Institute for advanced research. In Italia sta sviluppando nuovi strumenti per lo studio del sonno, della coscienza e delle sue alterazioni. Per Baldini & Castoldi è uscito Nulla di più grande. Dalla veglia al sonno, dal coma al sogno, scritto con Giulio Tononi (2013).

Da tempo ti occupi dello studio del rapporto tra cervello e coscienza. Puoi parlarcene?
Sono un neurofisiologo, quindi mi occupo di come funziona il cervello e in particolare di come funziona dal punto di vista elettrico; potremmo dire che sono un elettricista che studia i circuiti del cervello umano.
Fin da bambino, al momento di addormentarmi, mi ha sempre incuriosito questa sensazione di cessare di esistere, o di sognare un mondo che non era quello di cui avevo esperienza durante la veglia; di qui il mio interesse, in primis allo studio del sonno e poi allo studio della coscienza, in particolare del correlato neurale che sta dietro la perdita e il successivo recupero dell’esperienza soggettiva.
Quindi mi sono appassionato al tema della coscienza seguendo interrogativi infantili, esistenziali. Fortunatamente a Milano, quando mi sono laureato in medicina, vi era un’ottima scuola del sonno, creata da Mauro Mancia, neurofisiologo e psicoterapeuta, scomparso nel 2007, dove ho potuto imparare i rudimenti grazie al professor Maurizio Mariotti, da poco in pensione. Poi ho sentito la necessità di andare all’estero, mi sono così trasferito in Canada, dove ho imparato a capire come funzionano i neuroni in stato di sonno e veglia. Si è trattato di un passaggio molto importante per il mio percorso. In seguito ho letto un libro di Giulio Tononi e Gerald Edelman, Un universo di coscienza, dove viene abbozzata una vera e propria teoria della coscienza. Ho quindi contattato Tononi, medico psichiatra e neuroscienziato di origine italiana, ma naturalizzato americano, e grazie a una borsa di studio americana sono potuto andare a studiare da lui, negli Stati Uniti, in Wisconsin. Nel frattempo avevo maturato delle esperienze, in particolare nel campo dell’elettrofisiologia; stavo studiando la possibilità di utilizzare la Tms (Stimolazione magnetica transcranica) e l’Eeg (l’elettroencefalogramma); intuivo che era importante misurare come il cervello comunicava con se stesso, e l’unico modo per farlo è stimolarlo direttamente e misurarne le risposte. Queste mie idee si incastravano perfettamente con quello che proponeva la teoria di Tononi.
In Wisconsin, al nostro primo incontro, seduti sul divano di casa sua, tirammo fuori contemporaneamente lo stesso articolo, molto di nicchia, che diceva che si poteva fare questa misurazione. Lui c’era arrivato per una via, io per un’altra. A quel punto abbiamo deciso che valeva la pena andare avanti.
Puoi spiegarci questa nuova teoria sulla coscienza?
È una teoria molto interessante e molto promettente perché affronta il problema di petto. Ha degli aspetti rivoluzionari anche proprio nel modo in cui approccia la questione.
Normalmente, per scandagliare il mistero della coscienza si è sempre partiti dal cervello cercando di strizzarne fuori i cosiddetti "correlati neurali” della coscienza. Cosa vuol dire? Che sostanzialmente si è visto come cambia l’attività cerebrale in diverse condizioni, e da lì s’è detto che forse sono i livelli di attività dei neuroni, forse è il fatto che il cervello abbia accesso a informazioni dalla periferia, che i neuroni siano attivi all’unisono, e così via.
Nessuna di queste ipotesi ha veramente funzionato. Tuttora non c’è un aspetto dell’attività cerebrale che ci possa dire oggettivamente, senza doverlo chiedere al soggetto, se è cosciente o meno. Significa che non ci siamo. Ma perché l’approccio è sbagliato: quando si parla della coscienza, non bisogna partire dalla materia del cervello, ma dall’unica cosa che sappiamo sulla coscienza, cioè dalla nostra esperienza. La teoria fa questo. È inutile fare esperimenti se prima non abbiamo stabilito degli assiomi che ci dicono che cosa dobbiamo cercare.
Questi assiomi, essendo per definizione autoevidenti, non possono che derivare dalla introspezione, cioè dalla fenomenologia, dalla nostra esperienza stessa, che è l’unica cosa che conosciamo direttamente. Possiamo dubitare di tutto, anche che esista l’universo, ma che noi siamo in questo modo ...[continua]

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