Vittorio Rieser, sociologo, dagli anni ‘60 uno degli osservatori più attenti del mondo del lavoro, a Torino ed altrove, ha pubblicato, tra l’altro, Lavorare a Melfi. Inchiesta operaia sulla fabbrica integrata Fiat, Calice Editore.
Gianni Marchetto, immigrato negli anni ‘60 da Taglio di Po, è stato operaio in piccole aziende e poi alla Fiat; delegato Fiom, da sempre impegnato nelle attività per la difesa della salute in fabbrica e per il controllo dei tempi.

Ripartiamo dall’intervista a Luciano Pero su Pomigliano, la Fiat e l’organizzazione del lavoro.
Rieser. Secondo me il tema centrale è quello del tempo sul lavoro, che del resto lo stesso Pero pone al centro. Ora, è vero che il toyotismo ha cambiato il concetto di tempo, cioè da un’idea di tempo basata unicamente sul "cronometro”, che isolava la mansione dal contesto, ha introdotto un tempo legato al processo complessivo e, soprattutto, basato sul concetto di "sincronizzazione”. Qual è la differenza? Che il tempo taylorista era definito scientificamente da un punto di vista capitalista ed era rigido. Rigido nel senso che l’operaio doveva rispettarlo, ma rigido anche perché l’accordo del ‘71 sui tempi di lavoro sanciva dei diritti che andavano applicati rigorosamente.
Non dimentichiamo che le grandi conquiste di difesa operaia alla Fiat sono partite dal fatto di costringere l’azienda a rispettare il sistema tayloristico dei tempi -che invece veniva sforato a piacimento dall’azienda.
Il tempo toyotista, invece, anziché essere imperniato unicamente sull’analisi scientifica dei tempi e dei movimenti, che resta comunque alla base, è definito dal mercato. Cioè la sincronizzazione è sincronizzazione con il mercato. Un mercato per di più caratterizzato dalla competizione globale. E quindi in qualche modo è più dispotico e unilaterale, perché è sì più flessibile, ma in funzione della variazione del mercato, di qualcosa cioè che non è controllabile dai lavoratori. Il manuale dell’Mtm, invece (che non a caso per un po’ la Fiat non volle far conoscere), era diventato anche uno strumento di difesa dei lavoratori.
Ecco, nel toyotismo il meccanismo è molto più unilaterale.
In una ricerca della Fondazione di Dublino sull’intensificazione del lavoro è risultato che quando si chiede ai lavoratori dove stia la responsabilità, ci si sente rispondere: il capo, la tecnologia, l’organizzazione del lavoro, il cliente. Pochi dicono la tecnologia. Ma pochi dicono anche il capo. La maggioranza dice: l’organizzazione del lavoro e il cliente.
Ora molte di queste risposte in realtà sono una metafora. Il cliente, ad esempio, è la metafora del mercato, in certi casi lo è direttamente: per una cassiera di un centro commerciale il cliente è l’agente immediato di pressione temporale. Lo stesso discorso vale per l’organizzazione del lavoro, che sia nel taylorismo che nel toyotismo, che nella fabbrica flessibile, è il modo in cui il mercato si traduce per il lavoratore.
Questo per dire che il toyotismo non è più umano e più sostenibile, diversamente da quanto dice Pero. E non per una sua intrinseca malvagità, ma perché il dispotismo del mercato è più pesante del dispotismo, in qualche modo regolato, del piano di fabbrica fordista, che era più rigido, ma anche più contrattabile.
Lo stesso Ergo Uas, che è un sistema di definizione dei tempi che prende in considerazione anche i fattori ergonomici, in realtà andrebbe contestualizzato. Il toyotismo, infatti, presuppone un ruolo più attivo del lavoratore, ma sempre vincolato a un contesto di pressione temporale continua.
Melfi, per dire, è uno stabilimento progettato con grande rispetto per i criteri ergonomici. Le linee di montaggio di mezzi non comportano posizioni "innaturali”. E tuttavia a Melfi c’è un numero elevatissimo di ernie del disco, oltre che delle solite patologie, tunnel carpale, eccetera. Perché? Perché non si è tenuto conto dei fattori ergonomici nella progettazione dell’impianto? No, semplicemente perché quello stesso impianto, sottoposto alla pressione temporale che oggi caratterizza gli stabilimenti automobilistici e non solo, produce quelle patologie. Ecco, è proprio questa mancata presa in considerazione dei "fattori schiaccianti”, che portano a un’intensificazione innaturale dei tempi, che fa sì che in generale il problema della salute venga totalmente trascurato.
Aggiungerei un’osservazione ovvia ma importante, cioè che mentre il mercato è oggettivo per il lavoratore, non è oggettivo per la g ...[continua]

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