Cari amici,
una delle cose più interessanti che, a mio parere, si sente in Francia è il dibattito sulla laicità. Come sapete il Paese è laico, ed è considerato per questo un modello: la legge del 1905 sancisce la separazione tra Chiesa e Stato e la laicità è uno dei cardini dell’ideale repubblicano che vede i cittadini uguali di fronte alla legge; la religione è solo una questione privata, nella quale lo Stato non entra.
La cosa funziona benissimo per il cattolicesimo e per l’ebraismo, da secoli nel Paese, con strutture ben impiantate, relazioni ed edifici di culto, meno bene invece per l’Islam. Certamente ci sono delle moschee in Francia, ma in passato è capitato di vedere i fedeli pregare per strada perché non ce n’erano abbastanza. Senza dilungarmi troppo in particolari, la presenza dell’Islam ha posto il problema diverse volte negli anni: una comunità sempre più numerosa (e praticante) e senza luoghi di culto.
Dopo gli attentati a "Charlie Hebdo” si è tornati a discutere di laicità e lo si sta facendo in due modi completamente opposti che forzano un po’ lo spirito della legge del 1905, che resta comunque qualcosa di intoccabile.
Il primo riguarda il governo. Il Primo Ministro, Manuel Valls, lo scorso 3 marzo era a Strasburgo: nella sala della Grande Moschea, che lui stesso ha inaugurato nel 2012, ha sostenuto che la Francia "ha bisogno di imam francesi, che parlino francese, che amino la Francia, che condividano i suoi valori”. Cosa significa? Si sta parlando di formazione, della formazione di un clero musulmano che sia francese ed europeo. Quella che Valls pone è una questione importante che tanti rappresentanti della comunità islamica, tra cui lo stesso imam di Strasburgo, fanno presente: la necessità di creare un Islam che abbia in Europa la sua casa.
Valls ha naturalmente spiegato che non si tratta di "privilegiare qualcuno, che lo Stato non avrà mai il controllo di una religione”. Per il Primo Ministro la sola risposta ai pericoli è la République, la laicità, l’educazione, il saper vivere insieme. Queste parole, pronunciate a Strasburgo, hanno un senso particolare: l’Alsazia, la Lorena e la Mosella sono le sole regioni di Francia dove la legge del 1905 non è applicata; non facevano parte del Paese quando questa fu promulgata.  Bottino della guerra franco-prussiana del 1870-’71, dopo la Prima guerra mondiale la Francia se le riprese, ma solo fino a quando la Germania non le occupò nel 1940. Le regioni sono tornate francesi nel 1945 e per questo mantengono una serie di "privilegi”, ovvero statuti speciali e ordinanze locali.
Tra questi, il Concordato: in Alsazia, Lorena e Mosella la religione Cattolica, la Protestante (Riformata e Luterana) e l’Ebraica hanno un accordo con lo Stato. Che cosa significa? Che lo Stato riconosce i culti, che stipendia il clero, che esistono università religiose, che la religione fa parte delle materie scolastiche alle medie e alle superiori. E che i vescovi di Metz e di Strasburgo sono nominati (previo accordo con la Santa Sede) dal Presidente della Repubblica. E anche che lo Stato si accolla spese per i luoghi di culto. Questo Concordato discende da quello firmato tra Pio VII e Napoleone nel 1801: il documento non è mai stato abrogato da nessuno nei tanti "passaggi di proprietario” della regione.
L’Islam è escluso benché cerchi, da qualche anno, di entrare. Non si tratta di discriminazione: non c’erano comunità islamiche nel momento in cui fu firmato un Concordato e fare modifiche successive richiede tempo, fatica, accordi. Personalmente credo che succederà.
Perché Valls vede di buon occhio questo modello? Al centro ci sono soprattutto due cose: la formazione di cui sopra (quindi università religiose) e i finanziamenti pubblici. Quest’ultimo punto è fondamentale: le comunità islamiche in Francia non possono chiedere finanziamenti per la costruzione di moschee. Spesso il solo modo che le comunità hanno per raccogliere fondi, oltre a tassare i propri fedeli, sono i finanziamenti dall’estero, e questo apre il dibattito sulla questione delle influenze e delle contaminazioni con i paesi di origine, cosa che Valls ha perfettamente in mente.
Il secondo fronte di dibattito sulla laicità riguarda sempre, suo malgrado, la formazione. Ma in questo caso si parla di bambini. Almeno tre comuni hanno deciso di eliminare i "menu differenziati” (leggi senza carne di maiale) dalle mense scolastiche.
Nel caso di Chalon-sur-Saône (nel dipartimento Saône-et-Loire) il sindaco, Gilles Platret (Ump, il partito di Sarkozy) ha deciso di interrompere una prassi in uso da 31 anni. In una lettera inviata ai genitori ha spiegato: "L’offerta alimentare non può tener conto di scelte religiose: proporre un menu sostitutivo quando sono previsti piatti a base di maiale significa discriminare i bambini, cosa inaccettabile in una repubblica laica”. Il nuovo corso dovrebbe iniziare dal prossimo settembre.
Stessa cosa a Sargé-lès-Le Mans (Sarthe): secondo il sindaco, Marcel Mortreau, "la mensa scolastica è un servizio pubblico basato sul principio della laicità, bisogna rispettare il principio della neutralità religiosa”; anche a Lagny-le-Sec, nell’Oise, il primo cittadino Didier Doucet (Ump), vuole difendere la laicità, e anche ad Arveyres, nella Gironda; dal 1° marzo niente più menu sostitutivi: il sindaco Benoît Gheysens, lista civica, vuole evitare gli sprechi.
In tutti i casi si trattava di un piatto sostitutivo a quello con carne di maiale, non di carne macellata secondo il procedimento kosher o halal.
Nicolas Sarkozy, che appoggia questa politica, pensa che il Paese stia attraversando "una grave crisi repubblicana (…) trent’anni fa le cose erano più tranquille, non c’era il velo, non c’erano tensioni tra le comunità (…). Credo sarebbe meglio per tutti, anche per quanto riguarda i nostri concittadini musulmani praticanti, che ci fosse una regola repubblicana, applicata senza aggressività, ma senza debolezza. La laicità non può fare eccezioni”. Però di eccezioni la laicità ne sta facendo; ci tornerò.
Francesca Barca
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