Altri amici o conoscenti di Nicola Chiaromonte, anche stretti e di lunga data, reagiranno forse come quello di loro che, a questo proposito, mi diceva: « Per "figura", immagino, tu intendi tanto l'uomo che il suo pensiero, il carattere più l'opera. Ora, Chiaromonte è uno di quelli la cui opera scritta è molto esigua, (due libretti in tutta un'esistenza), perché l'opera vera è stata il loro modo di vita. Chiaromonte si è espresso, in modo socratico, nei suoi rapporti con gli altri. Una maniera di operare molto rara ed ottima, ma il cui ricordo sopravvive di poco a quelli che hanno conosciuto l'uomo saggio e ne hanno tratto insegnamento ».
Contro questo ci è intanto da ricordare che nove decimi di quel che Chiaromonte ha scritto, sparso in giornali o riviste o rimasto carta privata, è inedito in volume od anche in assoluto. Scritti politici, saggi d'arte e di filosofia, cronache ragionate, lettere d'ogni giorno ad amici di almeno tre paesi, in lingue che Chiaromonte maneggiava con eguale rigore, un carteggio, quasi tutto, di impegno profondo.
C'è poi da aggiungere che Chiaromonte ha pubblicato così pochi libri perché disprezzava lo scrivere che si rassegni ad essere separato dal vivere, precisamente da un fraterno rapporto fra esseri reali. Quando si raccoglieranno, in molti volumi, i suoi scritti, si scoprirà quanto sia intimo il loro intreccio con l'umano itinerario del loro autore: ma non già con la sua cronaca privata, bensì con la biografia, se così si può dire, intimamente pubblica, di uno che ha vissuto il suo tempo, e su esso ha meditato, sempre insieme ad altri e per gli altri. Intanto, aspettando questo, si può tracciare qualche segno delle predilezioni di Chiaromonte e di alcune sue idee.
Il vincolo umano che gli pareva essenziale era l'amicizia, intesa come un'affettuosa solidarietà basata sul vero. La stimava indispensabile non solo nella vita dei singoli ma in quella civile, dove essa è di preciso « il sentimento di quella realtà alla quale Aristotele dava il nome di "philia", e la metteva a base del legame sociale, che Leopardi chiamava "l'umana compagnia " e che Andrea Caffi amava indicare col termine "società" ». E' giusto che appaia qui il nome di Andrea Caffi (1887-1955), l'uomo dì cui Chiaromonte ha scritto: « Alla sua amicizia devo quel che di meglio posso aver acquistato nel corso della mia vita ». Giusto, perché Chiaromonte pensava che il sapere, come il senso della libertà, si ricevano al loro meglio per via diretta da certi uomini e per via diretta si trasmettano ad altri.
Andrea Caffi e Gaetano Salvemini erano stati i due "amici maggiori", l'uno in Francia, l'altro in America, al sodalizio coi quali Chiaromonte si era a lungo ispirato nel pensare e nell'agire. E per converso, l'amicizia con giovani, ed anche giovanissimi, coltivata con assiduità generosa, era uno dei cardini dei suoi giorni. L'omaggio più coraggioso e inatteso, in morte di Chiaromonte, è venuto da un suo avversario politico, che però lo aveva frequentato, un giovane rivoluzionario italiano dei più intransigenti. Perfino il viaggio terreno di Chiaromonte si è chiuso nel segno dell'amicizia. A Roma, (in tanta crisi, o ritardo di sviluppo, anche dei cimiteri), si stentava a trovare un luogo dove tumularlo: lo si è ospitato nella tomba dove da tempo riposa un amico che gli era caro, Felice Balbo.
Per molti anni, Chiaromonte ha dedicato le sue massime cure alla rivista 'Tempo presente", della quale sì può dire che in Italia non si rammentavano precedenti, né ancora purtroppo le si conoscono eredi. Che la cultura e la critica vi fossero sentite come fatti universali senza confini di provincia, è una qualità di "Tempo presente" che molti in questi giorni hanno ricordato; 'ma un'altra sua caratteristica era più rara e forse più importante. Quasi sempre, nelle nostre riviste, la collaborazione è un atto individuale e, come dire?, atomizzato: ogni collaboratore canta la sua romanza, cioè spedisce il suo articolo, e deli'insieme non si cura che il direttore, anche lui individuo pressappoco solitario. Unica ec ...[continua]
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