Significa, questo, che i giovani americani si disinteressano della questione dell’eguaglianza civile? No, ma piuttosto che non c’era da aspettarsi che il loro fervore per le marce nel Sud, la fraternizzazione con i negri eccetera, durassero più che tanto. Erano fatti genuini, e la questione rimane una delle questioni capitali della vita americana, ma non era una questione politica centrale. Nel momento in cui il Presidente medesimo ne faceva il pernio della sua politica interna (ma il Congresso lo ha messo in minoranza proprio su questo), che cosa dovevano fare gli studenti? E, d’altra parte, è vero che l’umore dei negri è molto cambiato. S’è creata una situazione strana e patetica, di cui è difficile parlare quando non la si conosce di prima mano, ma che si può riassumere dicendo che proprio il riconoscimento quasi unanime della necessità di agire seriamente per dare ai negri piena dignità di cittadini e riconoscere loro il diritto di lavorare e guadagnare come gli altri, nel renderli coscienti dei loro diritti, li ha resi anche impazienti e, resili impazienti, li trascina facilmente alla violenza: a credere, cioè, che il modo più rapido di giungere alla meta sia la violenza, intimidire i bianchi con l’aggressività e gli scoppi di furore collettivo. Donde il cosiddetto white backlash, la reazione bianca un po’ dappertutto, che in California ha portato al posto di governatore Ronald Reagan, attore cinematografico di terz’ordine. E si è nel circolo vizioso di nuovo, perché è molto dubbio che Johnson, con i mal di testa serissimi che gli procura la guerra nel Vietnam, continui a insistere sui diritti civili come nei primi tempi della sua presidenza. Oggi, nel Sud, i repubblicani scalzano le già irremovibili posizioni democratiche.
Del resto, parlate a un insegnante di scuola elementare o media di Harlem dello stato d’animo dei ragazzi, e avrete la sensazione dell’irrimediabile: più che ostili, vi si dirà, quei ragazzi e quelle ragazze sono chiusi, impervi, inaccessibili. E forse non è tanto il sentimento della separazione razziale, fomentato sia dagli estremisti negri sia, paradossalmente, dall’insistenza dei bianchi sull’urgenza di una soluzione radicale, a renderli così selvatici, quanto il fatto di sentirsi circondati da una affluent society che giunge quasi fino a loro e a loro non arriva mai né -così devono pensare- mai arriverà. Il caso dei negri (ma ci sono anche i portoricani e tutti gli altri; e in certi quartieri persino gli italiani tornano a lamentarsi di esser vittime di discriminazione razziale) non è che il caso limite di chiunque, in America, non ottenga un minimo di benessere e senta (questo è il punto grave) di esserne escluso per sempre. Il sentimento di esclusione dall’unanime marcia in avanti, verso un meglio sempre migliore, che è il mito animatore della società americana, si trasforma in una vera e propria forma di idrofobia sociale che si guarisce solo col danaro, ossia con un buon impiego o un affare.
Allora, ai ragazzi di cui sopra, provate un po’ a leggere Shakespeare o Dickens, provate, insomma, a rivolgervi alle loro anime, a «coltivarli» per risvegliarne l’immaginazion ...[continua]
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