Credo che la mail di Fausto e la sua sensibilità
fotografica rendano perfettamente la sensazione che
abbiamo avuto nel nostro breve tentativo di
"conoscere" il Marocco: una sensazione di profondo
stupore verso un mondo troppo spesso ridotto a
stereotipi e a semplificazioni.
Due sono le metafore che meglio descrivono il Marocco
che ho conosciuto: la prima è la piazza di Marrakech,
Jam el Fna, un continuo movimento di colori, di
suoni, un caos ordinato privo di centro, in cui gli
stranieri finiscono per divenire parte integrante
della quotidianità e dello spettacolo locale; un senso
di accoglienza, di vitalità, di relazione. L'altra
immagine è rappresentata da tutti quei cantieri che si
sviluppano attorno alle città del Marocco, periferie
allargate invisibili su qualunque mappa, simboli di un
paese che sta crescendo e che si sta preparando ad
affrontare il suo futuro e ad inventare e negoziare la
propria modernità.
La percezione è che le riforme del nuovo re Mohammed
VI, non prive di contraddizioni e di limiti, abbiano
comunque trasmesso nel paese questa energia, la voglia
di immaginare un cambiamento possibile e di
proiettarsi verso il futuro. Una immagine che è
difficile trovare nei nostri paesi europei, angosciati
dalla paura, arroccati nella difesa delle proprie mura
e delle proprie frontiere, ossessionati nel tentativo
di definire e difendere una propria presunta identità.
Il Marocco è un paese aperto, ospitale, che ha voglia
di raccontarsi, di lasciarsi capire, di mettersi in
discussione. Un paese che riflette continuamente sulla
propria identità berbera, araba, musulmana, ma in una
maniera aperta alle contaminazioni e all'incontro con
gli altri. L'immagine delle parabole direzionate verso
il mondo, i cyber café pieni di ragazzini e ragazzine
di ogni età che chattano con i loro amici in giro per
il globo, sono tutte immagini che rendono il carattere
e le dimensioni di questa apertura.
Tutti i ragazzi e le ragazze che abbiamo incontrato,
all'interno della Carovana, frequentando delle lezioni
all'università, o semplicemente chiedendo indicazioni
per strada, ci hanno invitato nelle loro case, aperto
le loro porte e i loro mondi con una voglia profonda
di raccontarsi e di capire la nostra realtà e
l'immagine che noi avevamo della loro. Quello che
personalmente mi ha più affascinato è la scoperta
concreta e toccata con mano di un islam che viene
vissuto individualmente, che viene scelto nei piccoli
comportamenti quotidiani, che si integra perfettamente
con gli altri immaginari provenienti ad esempio
dall'India, con i film di Bollywood, dall'Egitto,
dagli Stati Uniti. Ragazzine velate che fanno kung fu
per farsi rispettare, che chattano su internet con i
loro amici israeliani, ascoltano i Pink Floyd e
leggono Sartre, innamorate delle sure del Corano che
parlano del coraggio delle donne del profeta, che
vorrebbero sposare un calciatore del Real Madrid, sono
tutte immagini che sinceramente spiazzano. Tutti ci
tenevano a raccontare il loro modo specifico di essere
musulmani e a prendere le distanze dall'utilizzo
politico e radicale dell'islam. Penso che ci sia il
bisogno di raccontare queste storie, di ascoltarle, di
"svelare" ad esempio quanta complessità e quante
ragioni possano nascondersi dietro un velo. Allo
stesso tempo penso sia necessario raccontare quello
che avviene nei paesi dimenticati del Marocco, Ben
Millal, o Settat, fucine dell'immigrazione verso
l'Italia, o nelle "banlieues" di Casablanca, di
Marrakech, che si gonfiano di persone in funzione
della povertà delle stagioni agricole e dei raccolti,
alimentando quel disagio così facilmente
strumentalizzabile da qualsiasi fondamentalismo. Ho
avuto la fortuna di incontrare associazioni, persone
che ogni giorno si confrontano con questo disagio, che
diffondono libri, sapere, medicine, consapevolezza e
che lavorano quotidianamente, attraverso un lavoro
radicato nel territorio, contro ogni forma di
esclusione sociale. Dieci giorni sono bastati a
fornirci solo delle istantanee di questo mondo e a
trasmetterci il desiderio di parteciparvi in maniera
più importante e più significativa. L'augurio è che
l'edizione di quest'anno degli "Incontri del
Mediterraneo" di Riccione e l'Almanacco che ne
risulterà possano dare la percezione di questo
incontro e delle sue sfumature e fornire occasioni per
la costruzione di ulteriori reti e relazioni.
Alessandro
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