Norman Palma, economista, Maïtre de Conférences all’Università Paris-IV Sorbonne, ha pubblicato, tra l’altro, Réflexions sur l’union monétaire européenne, Indigo & Cote-Femmes.

Come descriverebbe la situazione attuale dei mercati finanziari internazionali e perché definisce questo un momento di crisi storica?
Il problema principale dei mercati finanziari internazionali, oggi, è quello del deprezzamento del dollaro. Stiamo assistendo a un rapido processo di caduta della moneta americana, dovuto semplicemente a ragioni di carattere quantitativo: c’è sovrabbondanza di dollari circolanti nei mercati finanziari, e non si tratta solamente di banconote ma anche di buoni del tesoro americano, conservati, tesaurizzati, dalle banche centrali dei paesi più importanti.
Ma è una crisi che viene da lontano, dagli Accordi di Washington del 18 dicembre 1971, che attribuirono agli Stati Uniti il privilegio di battere moneta internazionale. Privilegio di cui gli Usa hanno sempre abusato, in particolare nell’ultimo periodo, portando a un incremento del loro deficit commerciale assolutamente incredibile. Basti pensare che nel 1992 era nell’ordine di circa 94 miliardi di dollari e oggi è giunto a una cifra vicina ai 700 miliardi di dollari!
Ci sono, dunque, troppi dollari che circolano nel mondo. E di conseguenza persino monete fragili come quelle dei paesi latinoamericani si stanno apprezzando nei suoi confronti. Solo l’anno scorso, il real brasiliano si è apprezzato dell’8,9%. E’ la prima volta che accade nella storia dell’America del Sud. Prima c’era una parità fissa, una stabilità delle monete latinoamericane in rapporto al dollaro che si è mantenuta fino al 1974-1975. A seguito della crisi, sia monetaria che di investimenti dei paesi del Terzo mondo e dunque di quelli latino americani, queste monete avevano cominciato a perdere valore rispetto al dollaro. L’Argentina, ad esempio, aveva reagito istituendo la parità pura con il dollaro (che all’epoca era una moneta molto forte) ma è così arrivata sull’orlo del fallimento: i suoi prodotti erano diventati troppo cari.
Ma dal 26 ottobre 2000 la moneta americana ha perduto più del 60% del suo valore nei confronti dell’euro e il processo non intende fermarsi.
La cosa curiosa è che sono gli Stati Uniti, con la loro politica economica e monetaria, a provocare questa sorta di discesa libera; sembrano dimenticarsi che saranno proprio loro a subirne per primi le conseguenze.
Quindi la prospettiva è il crollo del dollaro…
Sì, e la causa sarà proprio l’euro. L’euro è una moneta rara sui mercati finanziari; la Banca Centrale Europea, infatti, per statuto non ha il diritto di emettere moneta, non può quindi decidere di sostenere il dollaro evitando il sovrapprezzamento dell’euro. Bisogna infatti ricordare che il valore di queste due monete è inversamente proporzionale: se l’una cresce l’altro cala.
Perciò la tendenza è un deprezzamento del dollaro sempre più accentuato, a fronte invece di un euro che continuerà a crescere, fino a che i prodotti europei non saranno più concorrenziali. La Francia, ad esempio, si è trovata per la prima volta nel 2004 con un deficit importante, e lo stesso vale per l’Italia. Sono economie non più concorrenziali proprio a causa dell’apprezzamento dell’euro.
Alcuni, ora, hanno pensato che il rimedio, per stabilizzare il dollaro, sia lasciar fluttuare liberamente lo yuan cinese sui mercati, ma non è vero: anzi, se lo yuan comincerà a fluttuare, il crollo de dollaro sarà ancora più veloce.
Finora, ovvero fintanto che lo yuan rimane ancorato al dollaro (grazie al dollaro di Hong Kong, che a sua volta è in parità pura con quello americano) la Banca Centrale Cinese, per poter conservare questa parità, dovrà battere moneta e immetterla sul mercato per acquistare dollari. L’anno scorso, ad esempio, la Cina ha acquistato qualcosa come 210 miliardi di dollari, ritrovandosi perciò con una riserva impressionante: siamo nell’ordine di 620 miliardi di dollari. Una cosa immensa, la seconda riserva del mondo. Alcuni pensano che questi numeri siano dovuti all’eccedenza della bilancia commerciale cinese, ovvero al grande volume di esportazioni, ma è vero solo fino ad un certo punto. La Cina infatti non ha poi tutta questa enorme eccedenza; l’anno scorso, ad esempio, è stata di 32 miliardi di dollari, il che non basta a spiegare una tale accumulazione di dollari.
La Cina ha un vantaggio nell’acquistare dollari: evita l’apprezzamento dello yuan e, di co ...[continua]

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