Susanna Dori, originaria di Roma, lavora in una struttura sanitaria pubblica in Brasile, a Curitiba, Stato del Paranà.

Il servizio sanitario nazionale brasiliano da alcuni anni ha avviato un progetto di ristrutturazione, basato sul “Programma del medico di famiglia”, un modello importato dal Canada. E’ l’uovo di Colombo, l’idea magica per risolvere i problemi della sanità, e anch’io ci credo molto.
La medicina di famiglia è la branca che dovrebbe alleggerire il sistema sanitario risolvendo il 90% dei problemi che si presentano nelle aree di base, ovvero la medicina clinica, la ginecologia, l’ostetricia e la pediatria, senza far ricorso alla medicina specialistica. Tutto quello che non può essere risolto a questo livello passa al livello successivo, costituito dai centri polispecialistici dove il paziente viene esaminato e sottoposto ad eventuali accertamenti diagnostici. Solo se anche qui il problema non è stato risolto, si passa al terzo livello, cioè all’ospedale.
E’ un sistema che è stato messo in piedi per razionalizzare le risorse e tentare così di risolvere il problema dei costi, che attanaglia praticamente tutti i sistemi sanitari pubblici occidentali. Perché, per assurdo, se tutte le malattie, anche una banale influenza, fossero trattate a livello ospedaliero, il sistema finirebbe fatalmente per esplodere. E’ un po’ quello che mi pare stia succedendo anche in Italia: una super affluenza al Pronto Soccorso per ogni minima preoccupazione, a cui corrisponde, sull’altro versante, una perdita di attribuzioni e competenze del medico di famiglia.

Come ho detto, io ci credo molto, anche se sono consapevole dei rischi. Occorrerà ad esempio fare molta attenzione affinché questa non si trasformi in una medicina “povera per i poveri”. In fondo sarebbe la tentazione più semplice, più banale: si accetta che nella medicina di famiglia vadano i medici più demotivati oppure quelli parcheggiati in attesa di una collocazione migliore, e il gioco è fatto. Tanto si ha a che fare con persone povere, ignoranti, che si accontentano, per le quali qualunque cosa è meglio di niente.

Alla base della medicina di famiglia c’è un’idea forte: il paradigma salute/malattia non è un concetto in qualche modo matematico, cartesiano, ma un processo che progredisce in maniera differente a seconda degli individui. Detto in altri termini, la malattia non è uguale per tutti. Prendiamo la tubercolosi: è una malattia grave, con un’eziologia precisa, però sappiamo che decorre in maniera differente a seconda che il malato possa alimentarsi bene, abbia una casa decente e il sostegno di una famiglia alle spalle, oppure sia un barbone che vive su una panchina.
Partendo da questo concetto, i canadesi hanno capito che devono essere i medici a conoscere il territorio in cui operano, le famiglie che lo abitano e le dinamiche esistenti dentro quelle famiglie -perché a volte la malattia dipende anche da queste ultime. Un medico, quindi, che conosce le “reti sociali”, le “reti di solidarietà” presenti nella famiglia o nella comunità più allargata, ed è in grado di attivarle per supportare l’azione di trattamento del paziente. Prendiamo un vecchietto allettato a causa di un ictus, solo e senza parenti; se però ha intorno a sé una rete di vicine, di amici, di associazioni sociali o religiose, non sarà proprio completamente solo e potrà ricevere il trattamento a casa, evitando di trascorrere in ospedale il resto della sua vita.
In fondo era quello che succedeva una volta col medico condotto, che conosceva vita, morte e miracoli di tutte le famiglie.
Prendiamo l’ipertensione: statisticamente coinvolge un grosso numero di persone ed è una patologia che, se non controllata, può generare costi molto più ingenti da parte della collettività. Un paziente iperteso non trattato si complicherà, molto probabilmente avrà un ictus o un infarto, da paziente ambulatoriale diventerà paziente ospedaliero e correrà addirittura il rischio di invalidarsi, e di gravare ancora maggiormente sul sistema sanitario.
Teniamo conto che i farmaci antiipertensivi hanno spesso effetti collaterali tali -dalla cefalea ai disturbi della sfera sessuale, come l’impotenza o la frigidità- da portare il paziente a sospendere il trattamento.
Ecco quindi che occorre un medico che sappia trattare l’ipertensione prima che la patologia si complichi, scegliendo la terapia più adeguata a seconda del paziente. Non solo, occorre anche un medico capace di “educare” quel pazien ...[continua]

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