Alida Vitale vive a Torino dove svolge la professione di avvocato.

Quanti ne sono spariti? Trentamila. Dal ‘76 all’83 i militari hanno sequestrato trentamila persone e poi le hanno fatte sparire. Solo da pochi anni c’è un gruppo di antropologi argentini che si impegna a dare un nome alle ossa che vengono ritrovate. Un’amica di Vera finalmente ha potuto fare il funerale a suo figlio che è morto in un massacro collettivo nel ‘76. Dopo 25 anni. E tutte le madri dicono: “Non sai quanto sia doloroso non avere una tomba su cui piangere. Non sapere dov’è tuo figlio”.

Non ero mai più tornata in Argentina. I miei genitori sì, varie volte, mia sorella anche, mio fratello, che adesso non c’è più, l’aveva attraversata in autostop fino in Patagonia, e ancora adesso ricordo i suoi racconti, ma io, pur avendo viaggiato in tutti questi anni, non ero più tornata. Quest’anno ho pensato che fosse arrivato il momento di andare a ritrovare le mie radici. In questi ultimi anni, poi, mi sono sempre chiesta perché noi di sinistra non ci fossimo interessati dell’Argentina nonostante i fatti drammatici successi, quindi volevo capire. Ho accettato l’invito di un’amica dei miei, una signora ultrasettantenne, vedova, che nel giugno del 1976, due mesi dopo il golpe, perse l’unica figlia e non ha mai saputo che fine avesse fatto. Devo dire che andare da lei mi spaventava un po’, perché mi aveva preannunciato che avrei dormito nella camera della figlia, stanza nella quale, da allora, non ha tolto uno spillo e quindi ci sono tutti i libri e i disegni della ragazza che all’epoca aveva 18 anni. Ma poi ho accettato, anche perché lei è una madre di Plaza de Mayo, e sapevo che, vivendo con lei, avrei visto da vicino ciò che stavano facendo.
Pensa: questa signora era diventata amica di mio padre durante la traversata, sulla stessa nave che li portava in Argentina. Lei era di Milano, mio padre veniva da Alessandria. E’ quindi un’amicizia che dura da più di 60 anni. I miei genitori erano immigrati nel 1939 con i loro genitori a causa delle leggi razziali e si conobbero là nell’ambiente italiano ed ebraico. Io sono nata in Argentina nel 1953 e sono vissuta lì fino ad 11 anni, quindi ho fatto tutte le elementari alla scuola italiana a Buenos Aires.

Perché tornammo in Italia nel ‘64? In Argentina la situazione cominciava ad essere abbastanza drammatica, l’instabilità era totale, con continui stravolgimenti e rovesciamenti di governi eletti democraticamente, e quindi mio padre, pensando che era una situazione che non poteva che peggiorare mentre in Italia le cose, invece, andavano abbastanza bene -erano gli anni del boom economico- pensò che quello era il momento, che se non fossimo tornati allora non l’avremmo più fatto. Lui aveva già 40 anni e tre figli, ma potè riciclarsi e trovare un lavoro analogo a quello che faceva là, tramite conoscenti sempre legati all’ambiente ebraico. Si occupava di vendita di carta all’ingrosso… Lui venne a Torino un anno prima e l’anno dopo arrivammo noi. Ancora oggi, a distanza di quasi 40 anni dal nostro rientro, una delle sue frasi ricorrenti è: “Benedetto sia il giorno in cui ho deciso di tornare”. Là adesso la situazione è terribile e tutti i miei parenti che sono rimasti sono in situazioni economiche e psicologiche drammatiche.

Sono arrivata a Buenos Aires il 18 agosto e sono stata accolta con gioia da mio cugino. Erano più di 20 anni che non ci vedevamo. Ha esattamente la mia età, è disoccupato da oltre sette anni, era specializzato in sistemi elettrici per macchinari e per molti anni ha lavorato nella conceria di suo padre, seguiva e metteva a posto i macchinari. Ma la conceria ha cominciato a perdere moltissimo con la caduta del muro di Berlino perché vendevano moltissime pelli all’est; la loro attività progressivamente è crollata, avevano un forte indebitamento con le banche che li hanno fatti fallire, hanno venduto all’asta il capannone e mio cugino, tornando dall’aeroporto, per la prima volta dopo sette anni ha rivisto la fabbrica: c’era ancora il cartello dell’asta giudiziaria. Nessuno ha comprato, era in disfacimento e lì ci lavoravano non so quanti operai e tutta la loro famiglia, la madre, il padre che è morto da pochi mesi, lui e la sua compagna che era la segretaria. Anche lei, da allora, è senza un lavoro stabile. Vivono del fatto che lei ha un appartamento che affittano, e che poi essendo una contabile trova dei lavoretti part-time per lo più pagati molto male ed in ritardo; ...[continua]

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