Flavio Vallan è responsabile provinciale della Fiom di Pordenone.

Possiamo cominciare spiegando come è avvenuta la rottura rispetto al contratto per la Zanussi…
E’ stata la questione del lavoro a chiamata il punto di rottura principale con l’impresa. Credo non saremmo arrivati a una situazione simile se non ci fossero state delle continue forzature per inserire a tutti i costi questa norma nell’accordo che noi non abbiamo firmato. E su questo consideriamo con una certa gravità il fatto che l’impresa, nonostante un giudizio della Fiom molto chiaro, abbia inteso andare avanti ugualmente, trovando in questo una disponibilità di Fim e Uil.
Ora, quella norma ovviamente non era presente nella piattaforma e niente aveva a che vedere con le nostre richieste, volte invece a tentare di consolidare un’occupazione che oggi è precaria. Ma forse, per capire bene questa vicenda è opportuno fare un po’ la storia di questo part-time verticale. Negli stabilimenti più grossi, in particolare Porcia, Susegana, ci sono ogni anno centinaia di giovani che entrano in contratto a termine; questi giovani entrano per assecondare i picchi e le flessibilità produttive, e anche la stagionalità di questi stabilimenti. Ebbene, proprio per questo siamo stati noi (e non l’azienda come invece si rivendica continuamente) con una forzatura sindacale a tentare di dare stabilità di occupazione a questi giovani in contratto precario, che non possono lavorare tutto l’anno, perché non sono nelle condizioni industriali per farlo; abbiamo spinto perché anziché contratti a tempo determinato, per una quota di questi lavoratori si arrivasse a fare dei part-time ciclici. Mi sembra una logica normale per un sindacato, che deve cercare, se può, di distribuire non solo salari, ma anche occupazione. E infatti l’accordo fu visto molto bene dai lavoratori perché migliorava la loro condizione. Porcia è stato il primo stabilimento che l’ha applicato, tant’è vero che già quest’anno ci sono stati 170+70 part-time ciclici che sono andati a sottrarre precariato dai contratti a termine.
Nello stesso tempo andava bene anche all’impresa, in primo luogo perché effettivamente aveva bisogno di manodopera in quel periodo, in secondo luogo perché, al di là di quello che dice il dott. Mondini, è dimostrato proprio dagli studi condotti dalla Zanussi, che un giovane, man mano che diventa più sicuro del suo posto, man mano che diventa meno precario, tanto più rimane in azienda. E allora, visto che, tra l’altro, l’azienda comincia ad avere un problema per il turn-over di questi giovani, una risposta si doveva dare ed è stata data in questi termini. Noi abbiamo pensato che quella strada, condivisa anche dall’impresa, fosse quella giusta, e abbiamo inserito in piattaforma la richiesta di estendere i part-time ciclici.
Ricordo però che a Porcia i part-time ciclici funzionano così: sei mesi di lavoro, con la possibilità di allungare al settimo mese, con un part-time classico, che ha poi la prelazione per il passaggio al tempo indeterminato. E, infatti, molti di questi giovani poi preferiscono passare al tempo indeterminato, anche se per altri il part-time ciclico rimane effettivamente una scelta. Ebbene, la richiesta nostra era questa.
La cosiddetta “chiamata”, la norma, cioè, proposta dall’azienda e inserita nel contratto poi bocciato dai lavoratori, non ha niente a che vedere, non è affatto coerente con un part-time ciclico. Nel contratto si prevedeva infatti che a un lavoratore venisse data la possibilità di lavorare come minimo tre mesi -e quindi non più i sei attuali, il che è già un arretramento rispetto alle condizioni contrattuali precedenti- e per il restante periodo dell’anno poteva essere chiamato dall’azienda per alcune casistiche che poi sono molto larghe, con un preavviso anche di soli tre giorni, e anche per una sola giornata di lavoro, o tre o una settimana o quindici giorni.
A parte il fatto che un simile presupposto contrattuale non è neanche previsto per legge, e infatti esponenti del ministero del lavoro hanno dichiarato illegittima quella norma, ma non so proprio come faccia l’azienda a sostenere che era coerente, quando si sostituiva in sostanza un contratto a tempo indeterminato (per quanto a part-time), una retribuzione certa (sei mesi all’anno) con un contratto in cui il tempo di lavoro e il reddito di fine anno sarebbero stati solo a disposizione dell’azienda.
Certo, si introduceva un meccanismo molto più vantaggioso per la flessibil ...[continua]

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