Paolo Pigni è direttore generale della Fondazione Istituto Sacra Famiglia onlus. Laura Balestrini è direttrice generale della Casa di Cura Ambrosiana.

La Fondazione Sacra Famiglia di Cesano Boscone, che da decenni si prende cura di anziani non autosufficienti, sta provando a sperimentare soluzioni nuove. Potete raccontare?
Paolo Pigni. La Sacra Famiglia è nata 120 anni fa a Cesano Boscone. Il nostro contesto di lavoro oggi è quello di Cesano, ma anche della periferia milanese, dove da decenni c’è questa vicinanza e integrazione, tra un ospedale, la Casa di Cura Ambrosiana, e delle strutture a vocazione residenziale per disabili gravi, prevalentemente con disturbi di comportamento. Questo fa del gruppo Sacra Famiglia e della Casa di Cura un laboratorio molto interessante.
Io sono arrivato qui cinque anni fa in un momento in cui il modello di cura tradizionale era già in discussione.
La prima evidenza con cui mi sono trovato a confrontarmi è stata quella di un sistema di welfare che intercetta un pezzettino dei bisogni, mentre altre esigenze stanno crescendo e chiedono di essere prese in carico.
La seconda evidenza è quella di una progressiva incapacità delle istituzioni di leggere il cambiamento in atto, ma soprattutto di dare delle risposte evolutive. La fine di un percorso di spesa pubblica in qualche modo incrementale ha un po’ paralizzato qualunque spazio di creatività.
Quindi, da una parte, abbiamo un mondo che va esprimendo bisogni nuovi, dall’altra c’è una politica e delle istituzioni che devono fare i conti col tema della mancanza di risorse. Il punto è che la presenza di meno soldi non autorizza a spenderli rigidamente come prima, anche se i bisogni nel frattempo si sono trasformati.
Laura Balestrini. C’è un terzo elemento: la capacità di spesa delle famiglie. Le famiglie che possono, tendono a spendere le loro risorse nelle soluzioni tradizionali, forse rigide ma certe e conosciute, come sta dicendo Paolo. Ci sono poi famiglie che non hanno invece capacità di spesa.
Paolo. C’è un tema di innovazione, ma c’è anche un problema di diffidenza verso proposte alternative. Prima di venire qui io ho lavorato in ospedale a Legnano dove, con un gruppo di colleghi, sono stato al centro del percorso di trasloco del vecchio ospedale in una sede nuova. Un ospedale modernissimo, con la Stroke Unit, la neurochirurgia, eccetera. Uno sforzo immane. Finito lo sforzo, ci siamo guardati intorno e abbiamo visto che a girare per l’ospedale erano prevalentemente degli ottantenni. Lì mi sono detto: c’è qualcosa che non va.
L’altra cosa che mi ha sempre colpito è vedere le figlie, ma anche i figli, regolarmente in lacrime quando portavano il papà o la mamma in Rsa (Residenza sanitaria assistenziale). Ecco queste cose mi interrogavano: perché un ospedale pensato per un certo tipo di pubblico invece viene frequentato da un altro; perché la Rsa, un servizio che costa alle famiglie più di duemila euro al mese, viene vissuto come una resa, come un fallimento? Possiamo dire che sono le famiglie che non hanno capito, che le strutture a volte funzionano male, sarà quello che sarà, ma il dubbio è che in entrambi i casi ci sia un problema di mancata lettura dei bisogni. Da qui sono partite alcune riflessioni.
Tutto il mondo che oggi si affaccia ai servizi residenziali e semiresidenziali per la disabilità grave e per gli anziani è strutturalmente diverso rispetto a quello che c’era dieci anni fa. Siamo in una fase di transizione, dove la bussola non può che essere una attenta lettura dei bisogni.
Questo ci porta immediatamente al tema della personalizzazione dei servizi, che però richiede uno sforzo organizzativo e culturale importante. Questo viene prima di ogni riflessione di tipo economico. E prima non vuol dire che visto che non hai i soldi fai le cose così così; vuol dire prima in senso logico e letterale: cioè prima devi pensare a quella roba lì. Poi, se l’hai pensata bene, puoi sperare che le risorse si trovino, che la gente smetta di pensare che la soluzione migliore sia la badante dell’Est, perché l’anziano che rimane nella mitica casa in cui ha vissuto gli anni migliori, magari tre volte più grande di quello che gli serve, con una donna straniera di cinquant’anni, che rappresenta la sua principale risorsa, ma anche la sua prigione, in un legame H24 in cui ti guardi in faccia e hai poco o niente da dirti... beh, è una cosa che solo dei pazzi come noi potevano inventarsi!
Lo stesso dis ...[continua]

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