Marit Borg, docente alla Buskerud University College, Norvegia, si occupa di salute mentale e in particolare degli interventi orientati alla "recovery”. Sullo stesso tema abbiamo intervistato Silva Bon e Izabel Marin (n. 205/2013)

Puoi parlarci del concetto di "recovery” nella cura della salute mentale?
Il concetto di "recovery” è molto vasto e cambia da paese a paese. Secondo la mia visione, la cosa più importante nella recovery è l’esperienza diretta. Nell’ambito della salute mentale, gran parte delle conoscenze si basano sulla prospettiva dei professionisti e dei ricercatori, mentre la recovery si fonda su esperienze personali. Questa è una differenza fondamentale. Ma la recovery non è soltanto un percorso personale: è anche un percorso sociale in cui elementi come il lavoro, la casa e gli amici sono importantissimi. Esistono varie strutture nel mondo che si ispirano a questo concetto. In alcune l’orientamento è solo formale, per cui il controllo dei professionisti rimane molto forte e ci si affida ancora molto alla psichiatria tradizionale. In altre, invece, la recovery ha prodotto un cambiamento radicale, grazie al quale gli utenti e le loro famiglie hanno assunto una posizione centrale e le condizioni sociali sono tenute in grande considerazione. Gli esempi più positivi sono l’esperienza di Imroc (Implementing Recovery through Organisational Change) a Londra, e quella dell’Università di Yale, nel Connecticut. C’è un grande cambiamento in atto. Penso sia importante studiare i programmi di ogni struttura, chiedere ai direttori che cosa intendono per "recovery” e come questa ha cambiato i loro servizi. Ma è fondamentale chiedere agli utenti dei servizi se hanno vissuto la loro esperienza come un processo orientato verso la recovery oppure no. Nessuno lo sa meglio di loro.
"Recovery” non significa necessariamente eliminare i sintomi...
"Recovery” significa riprendere in mano la propria vita tenendo sotto controllo i sintomi, significa avere un ruolo nella comunità e riuscire a viverci con o senza problemi, significa convivere con il proprio disagio senza sentirsi in trappola. Ci sono persone che hanno il cancro, persone che si rompono una gamba, o che hanno il diabete, ma non continuano a essere dei pazienti per tutta la vita. Al centro del processo di recovery c’è la persona, non il medico. Questo è l’unico modo di aiutare le persone, perché non possiamo continuare a trattarle come dei casi, come soggetti vulnerabili che non sono in grado di prendersi cura di loro stessi.
Ho intervistato molte persone che hanno avuto problemi di salute mentale e ho spesso notato come fossero estremamente forti; persone in grado di attraversare e superare così tante barriere nella loro vita e di andare avanti... Dobbiamo smettere di pensare a loro come a soggetti vulnerabili e basta.
Certo, c’è molto dolore, ci sono molte difficoltà dietro ai problemi di salute mentale, ma noi non dobbiamo mai dimenticarci di chiedere a queste persone quali sono le cose importanti per loro e rassicurarle. Dobbiamo lavorare insieme a loro senza imporci: dobbiamo parlare di meno, chiedere di più e ascoltare di più.
Molte delle routine e delle tradizioni nella salute mentale vengono dalla medicina, ma la medicina non può risolvere tutti i problemi provocati da un disagio mentale. Questo perché nella medicina la questione principale è identificare il sintomo, fare una diagnosi e trovare il giusto farmaco o l’operazione più utile. La medicina tratta il corpo, è qualcosa di molto concreto, mentre i problemi di salute mentale coinvolgono molti aspetti della nostra quotidianità che non sono identificabili con una semplice diagnosi. I sintomi non necessariamente scaturiscono da problemi personali: potrebbero essere causati anche da un ambiente non accogliente o addirittura denigrante. Spesso i problemi sono "ambientali”, non individuali. Trattare i problemi di salute mentale come qualcosa di prettamente individuale è sbagliato, dovremmo sempre porci anche domande del tipo: "C’è una forte preoccupazione economica? L’ambiente è molto stigmatizzante e discriminatorio? Ci sono problemi familiari?”. Come ricordava Basaglia, "non possiamo aiutare le persone mettendole in un’istituzione e allontanandole dal loro ambiente sociale”.
Qual è il rapporto fra la società e i problemi di salute mentale delle persone?
È una questione molto complessa. La politica ha un forte impatto sulle condizioni di vita delle persone, sulle ...[continua]

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