Annamaria Simonazzi insegna Economia Politica e Economia Italiana ed Europea alla Sapienza; direttore scientifico della Fondazione G. Brodolini, è membro della redazione del sito inGenere.it.

Vorremmo capire come la crisi impatta sull’occupazione femminile. All’inizio si era detto che erano stati colpiti settori tradizionalmente maschili e quindi le donne sembravano essere rimaste relativamente al riparo. Ora però le cose stanno cambiando. Può spiegare?
Questa crisi presenta delle differenze rispetto a quelle precedenti. Se vogliamo parlare di occupazione femminile, bisogna partire dal dato che oggi in tutta Europa, e in Italia in particolare, ormai le donne sono altrettanto e forse più istruite degli uomini. Questo ha comportato un maggiore attaccamento al mercato del lavoro, soprattutto per le giovani, per le quali il lavoro è diventato un elemento importante. La maggiore istruzione e l’attaccamento al lavoro hanno avuto come prima conseguenza un aumento nel trend di crescita relativa dell’occupazione femminile. Purtroppo, nonostante quest’accelerazione, continuiamo a essere il fanalino di coda: l’Italia, per il tasso di occupazione femminile, è al penultimo posto seguita solo da Malta.
Una seconda conseguenza è stato un crescente peso delle famiglie con due redditi, che ormai è diventata una condizione quasi indispensabile per consentire a una famiglia di stare sopra la soglia di povertà.
Allora, quando andiamo a vedere quali sono state le conseguenze della crisi sull’occupazione rispettivamente maschile e femminile, è vero che l’occupazione maschile è caduta di più. Però la crisi ha interrotto quella tendenza alla crescita che era fondamentale per portare l’occupazione femminile il più vicino possibile a quella maschile, e per arrivare a uno degli obiettivi della strategia di Lisbona: avere il 60% delle donne in età di lavoro effettivamente sul mercato del lavoro. Questo è un aspetto importante da tenere presente. La maggior riduzione dell’occupazione maschile andrebbe infatti confrontata con quelle che erano, prima della crisi, le potenzialità di crescita dell’occupazione femminile. Questo punto viene sottolineato in un rapporto scritto recentemente per la Comunità Europea da Bettio, Corsi e altre esperte per conto della Fondazione Brodolini.
Comunque, per tornare alla domanda, possiamo dire che, sebbene con la crisi abbiamo visto peggiorare la condizione di tutti, maschi e femmine, per i maschi l’effetto è stato maggiore. Perché? Una delle principali ragioni è la segregazione occupazionale e settoriale del lavoro. Cioè gli uomini e le donne si concentrano in misura proporzionalmente maggiore in alcuni settori: per esempio i servizi, come noto, sono fortemente femminilizzati; altri settori invece, come la finanza, l’industria manifatturiera, le costruzioni sono prevalentemente maschili. Nella misura in cui la prima fase della crisi ha colpito prevalentemente questi ultimi settori, troviamo che quelli che sono stati colpiti maggiormente sono i maschi. Per questo si diceva che le donne erano state relativamente meno colpite. Una caratteristica del mercato del lavoro che, per altri aspetti, può essere valutata negativamente, in questo caso specifico ha avuto una funzione protettiva sull’occupazione femminile.
Il problema però è che è arrivata una seconda ondata della crisi. Una crisi che adesso è connessa, per ragioni che qui non possiamo vedere, alla crisi fiscale dello stato. Tutti i paesi europei si sono trovati con rapporti debito Pil molto elevati, e quindi nella necessità di fare quelli che vengono comunemente chiamati "consolidamenti fiscali”. Che vuol dire fare politiche di tagli della spesa e aumento delle imposte per ridurre il disavanzo.
Ora, siccome -e questo vale per tutti i paesi europei- quando si deve tagliare la spesa, si tagliano innanzitutto i servizi, è facile prevedere che in questa seconda fase della crisi, a essere colpita sarà l’occupazione femminile e più in generale le donne. In due modi: primo, perché le donne sono presenti in misura proporzionalmente maggiore nei settori dei servizi; secondo, perché le donne sono quelle che fruiscono maggiormente dei servizi. E quindi, nella misura in cui si taglia, vengono meno, diciamo così, pezzi di salario figurativo, perché se si tagliano gli asili, il tempo pieno nelle scuole o l’assistenza agli anziani, a questo dovrà supplire in qualche modo la famiglia, che poi vuol dire le donne.
Pertanto possiamo prevedere che s ...[continua]

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