Cosa sono questi Lidl di cui tanto si parla?
I Lidl, intesi come hard-discount, sono nati circa 30 anni fa come grandi magazzini a prezzi bassi, destinati alle famiglie meno abbienti, dove tutto è ridotto all’osso e la caratteristica fondamentale è l’essenzialità. Il prezzo è il fattore determinante, tutto è giocato su questo: la marca non ha nessun valore, la promozione è tassativamente abolita perché inutile, come inutili risultano essere, alla fine, tutte le spese pubblicitarie e tutte quelle che riguardano l’abbellimento del luogo. Circa 10 anni fa erano stati abbandonati perché il modo di operare era ritenuto vecchio, la nuova frontiera del commercio era l’attenzione per il marketing, l’idea che certo fosse importante il prodotto, ma che già meno lo fosse il prezzo: privilegiare il servizio alla clientela, il luogo, tutto ciò diventava più importante rispetto al valore intrinseco. Negli ultimi 5 anni alcune grosse realtà -non italiane, l’Italia è indietro anni luce rispetto alle grosse catene distributive tedesche e francesi- hanno deciso di rinverdire questa modalità di vendita, individuando la loro clientela nella fascia dei meno abbienti, in Germania soprattutto turchi ed extracomunitari e comunque quelli che non hanno una capacità di spesa come i tedeschi. Così hanno rimesso in piedi queste catene, poi si sono accorti che, in realtà, questa formula funzionava praticamente per tutte le fasce. In più c’è anche il fatto che si è entrati in una sorta di moda, perché alcune cose, francamente, non sono capibili in termini commerciali. Per esempio il valore del tempo, cioè il fatto che adesso, per andare in questi discount, bisogna affrontare file chilometriche per entrare, per pagare ed uscire. Questo in termini di tempo è un grandissimo spreco... Questo dovrebbe essere un deterrente, invece è scattato un meccanismo, forse legato alla novità rispetto ai supermercati, che ha creato un’attenzione attorno a questa formula della stessa intensità emotiva di quella creata, fino a ieri, dallo sfavillio, dall’aria condizionata, dai luoghi bellissimi dei vari centri commerciali che sono un po’ dappertutto. La massaia, che rimane il punto di riferimento di tutti, e che tutti credevano fosse totalmente succube di Mike Bongiorno, assolutamente succube delle luci, della gentilezza del commesso, e incapace di vedere un prodotto che non stia tra la spalla e l’anca, la si è scoperta con sorpresa rovistare negli scatoloni per terra, in un luogo vecchio che nessuno si cura di ristrutturare, dove ci sono scaffalature squallide, dove tutto è l’inverso della filosofia dell’ipermercato. Con la differenza che nel supermercato normale si spendono miliardi per convincere questa massaia ad andarci e nell’altro, invece, è addirittura lei stessa che diventa strumento di marketing e di promozione, che farà da tam-tam, perché lo dirà alla zia, alla nipote, se le porterà dietro e così via. Quindi, con poco spesa doppia resa. Il discount non spende niente in pubblicità, ma paradossalmente ha una pubblicità, una promozione, più profonda di quella fatta con il bombardamento di depliants, di locandine, di manifesti. All’inizio tutti credevano che all’interno ci fosse roba di scarto, un po’ come le cose che si spediscono in aiuto alimentare, cioè tutte quelle cose che la gente non vuole e si mettono in stoccaggio e chi vuole le prende. In realtà, proprio perché questo tipo di strutture sono organizzate da tedeschi, hanno caratteristiche perfette dal punto di vista organizzativo: precisione nello stoccaggio e nella distribuzione, quasi nessun tipo di giacenza, quindi costi bassissimi.
Tutto ciò gli permette di avere un prodotto di fascia media, cioè di qualità normale, a prezzi buoni in quanto si abbattono i costi pubblicitari, di magazzino, di personale, di confezionamento, si risparmia nella struttura dell’immobile -tra l’altro sono strutture così piccole che esulano dai piani urbanistici, quindi uno può aprirne quanti ne vuole senza problemi-, sono quindi estremamente competitivi perché hanno un rapporto prezzo-prodotto decisamente buono. La scommessa che hanno fatto loro è che la gente se ne accorgesse, vincesse la diffidenza verso il prezzo basso e la marca sconosciuta. Nel momento in cui la gente ha fatto questo salto di qualità sono cominciati i problemi per gli altri e adesso, dalle riviste specializzate ai managers delle varie catene di distribuzione, non ultima la COOP, hanno il problema del discount. Tutti i grandi gr ...[continua]

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