Flavia e Sandra Busatta, entrambe insegnanti, veronesi, sono da anni attive nei comitati di sostegno alle lotte dei popoli nativi ame­ricani. Da molti anni, inoltre, si occupano anche delle minoranze et­niche euro­pee.

Voi vi occupate da anni di questioni etniche e di culture “native”. Cosa pensate di questa rina­scita del nazionalismo in Europa e soprattutto nei paesi dell’est?

Flavia: Il problema nazionale nell’Europa dell’est non è affatto cosa nuova. Ha continuato a svilupparsi all’interno di una logica panslavista, a partire dai circoli aristocratici e nazionalisti in senso stretto che, per combattere il comuni­smo, come le “Guardie Bianche”, facevano leva su particolarismi etnici di stampo ottocentesco, ancora legati a forme feudali. Si tratta perciò di una faccenda che sta andando avanti da molto tempo. Non è assolutamente vero che dal punto di vista etnico la Jugoslavia scoppi all’improvviso: chiunque ricordi i racconti dei nostri genitori sulla seconda guerra mondiale in Jugoslavia poteva capire che la faccenda stava maturando da un pezzo e che Tito era riuscito a man­tenere l’equilibrio grazie al suo carisma incredibile, al suo prestigio militare ed anche agli errori fatti dall’estrema de­stra. E’ anche vero che il titoismo è stata una delle punte di diamante della cosiddetta “terza via”, quella dei paesi “non allineati”, che rappresenta la rinascita dei nazionalismi post-coloniali. Il discorso nazionalista sta maturando da al­meno cinquant’anni. Un’altra cosa da sottolineare è che l’esperienza dell’URSS, dove c’è stata una rivoluzione, è arri­vata nei paesi dell’est europeo con l’Armata Rossa. Ad esempio la Polonia, prima che arrivassero i nazisti e i carri armati sovietici, era profondamente nazionalista, pensiamo al governo Pilsudski, e così anche tutti gli altri paesi dell’est, almeno fino al 1940. In seguito essi furono sommersi, prima dalla marea nazista e poi dalla “guerra fredda”; cose che non hanno certo risolto i problemi, li hanno semplicemente accantonati.
Ma, secondo voi, si tratta solo dell’emergere di classi fino ad ora minoritarie , che devono cercarsi una ideologia, o c'è una vera rinascita nazionalista?
Sandra: Non c’è alcun dubbio che quando ci sono rivolgimenti epocali come questo, che definirei senza dubbio una ri­voluzione di portata mondiale, i valori religiosi ed etnico-tradizionali che preesistevano al sistema morente costitui­scono un ancoraggio. Se poi aggiungiamo che essi erano anche proibiti il loro fascino risulta aumentato, in quanto essi vengono identificati come positivi rispetto al sistema che viene rifiutato. Non sottovaluterei, poi, il fatto che molti nazionalismi sono legati a parti della vecchia guardia delle burocrazie statali che continuano a rappresentare, per certi settori sociali o per certe generazioni, una sicurezza. In molte repubbliche sovietiche esisteva una identità anche fisica tra il capo tribù, il leader carismatico o religioso, e il commissario politico e questo può spiegare i voti plebi­scitari in alcune repubbliche, ad esempio l’Azerbaigian. Diversamente dove sarebbero andati a finire tutti i burocrati comunisti? Evidentemente questi personaggi assicurano alla gente, che ragiona con lo stomaco oltre che con la testa, tutta una serie di cose che fanno parte di un mondo che è certo, dei valori che sono certi ed un modo di vita che la gente spera  certo.
Quindi per voi non c’è un reale “ritorno alle radici”?
Sandra: Da un lato c’è un “si salvi chi può”, nel senso che le varie etnie/repubbliche dell’est tentano di vendersi al mi­glior offerente, rivendicando ognuna una propria fetta di ricchezza. Poi c’è un “si salvi chi può” delle dirigenze... Senza alcun dubbio, comunque, ci sono dei problemi legati al fatto che, di per sé,  il processo industriale spazza via le etnie in quanto tali, come identità. Questo è già accaduto in Europa. Ad esempio in Inghilterra dal 1500 fino al 1700 ci fu la risoluzione, molto sanguinosa, della questione etnica. Con la famosa battaglia di Colloden che, oltre all’enorme quantità di morti, per i mezzi dell’epoca, portò alle leggi per la proibizione della lingua e dei costumi scoz­zesi.
Una cinquantina d’anni prima, con Cromwell e subito dopo, c’erano state in Irlanda le leggi che cercavano di di­struggere l’etnia irlandese. Si impiccavano i preti perché insegnavano ai bambini delle elementari e ai bambini di quelle scuole si versava in testa pece rovente e poi la si strappava assieme ai capelli. ...[continua]

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