Giovanni Tassani è storico, in particolare del mondo cattolico e democristiano, su cui ha scritto, tra l’altro: Aldo Moro, Sansoni 1983 (con Gianni Baget Bozzo); La terza generazione, Edizioni Lavoro 1988, Libertà e popolo, Ave 1995; L’Italia difficile di Mario Scelba, Rubbettino 2006; Il Belpaese dei cattolici, Cantagalli 2010. Vive a Forlì.

Una volta si diceva, con Luigi Pintor, di sperare di non morire democristiani, oggi invece si avverte l’assenza di quella cultura politica, se non della sua prassi ordinaria, specie dopo la scomparsa di Aldo Moro, e pare si sia tutti disposti a rivalutarne almeno certe istanze di radicamento sociale e di prassi riformatrice.
è vero, e mi pare giusto e interessante che, caduto da tempo il vecchio antagonismo sociale e politico -anche da parte di un ambiente come quello di “Una città”- ci sia desiderio di conoscere meglio i vari filoni democratici e riformisti che hanno contribuito a disegnare la storia del paese in età repubblicana. Si può così parlare di ancora un’altra tradizione, quella “bianca”, che ebbe una sua forza popolare, influente sia sul governo che sul movimento sindacale, per esempio. Oggi la situazione sociale, politica, culturale, è molto cambiata e le rigidità sono state dismesse: si ha necessità di prender le distanze dalle cose, per contemporaneamente guardarle più in profondità, storicamente.
Il mondo laico e il mondo cattolico in passato evocavano una contrapposizione netta, pur se “laici” e “cattolici” collaboravano al governo e nelle amministrazioni locali e, comunque, convergevano nell’affermare una cultura antitotalitaria in Italia.
Partirei da una affermazione che fece una volta Ruggero Orfei, giornalista scomparso un paio d’anni fa nel silenzio generale come è d’uso oggi. Tra i Sessanta e i primi Settanta, insieme con Piero Pratesi, dirigeva “Settegiorni”, un settimanale che ha svolto un ruolo di raccordo tra sinistra sociale Dc e generazione del ’68, e che poi scrisse un libro L’occupazione del potere, che sembrava una delegittimazione della Dc. Anni dopo, deluso dei socialisti, tornò in area Dc, a differenza dei suoi amici Luigi Covatta e Gennaro Acquaviva. Di Orfei ricordo, e la condivido, questa sua definizione circa i cattolici che “conoscono i laici molto più di quanto i laici conoscano i cattolici”. I cattolici, forse perché si sentivano a volte sotto giudizio o sotto sospetto, si sentivano anche in dovere di conoscere la cultura laica, non senza qualche complesso. Non altrettanto facevano certi laici che, spesso un po’ altezzosi e con qualche senso di elitaria superiorità, non si sentivano in dovere di conoscere e capire i cattolici. Quando parlo storicamente di cattolici io intendo dire non un “mondo” compatto, ma un “universo”, quasi una galassia, contenente al suo interno posizioni che sfumavano anche all’esterno della posizione politica pur centrale quale è era quella della Dc.
Questa voleva essere il partito dei cattolici, cercando di comporre al suo interno le loro varie gradazioni. In realtà non vi riuscì, e nella stessa Dc si confrontarono sempre posizioni tra loro diverse. Trovo semplificatorio, in campo laico-riformista, usare lo schema duale “laici-cattolici”, e anche ridurre a una posizione il proprio campo: sia l’uno che l’altro campo sono stati sempre mobili, plurali e vanno analizzati in modo dinamico, come equazioni a più incognite, a più variabili. Il campo laico non si esaurisce in figure nobili d’intellettuali, siano pure Salvemini, i Rosselli o Chiaromonte. Si rischia di ridurre queste stesse figure a “santini” utili per sterili cerimoniali.
Ti riferisci alla nostra predilezione per l’“altra tradizione” della sinistra?
In parte sì. Io ricordo un saggio importante di Ernesto Galli Della Loggia, sul “Mulino”, nel 1993, in cui parlava di “liberali che non hanno saputo dirsi cristiani”. Laici cioè che hanno prescisso dal fatto che esistono radici cristiane comuni nella storia italiana. In diversi laici invece certe radici sono rimaste. Facciamo il caso di Ferruccio Parri: pure lui aveva delle ascendenze democratiche cristiane, murriane, ai tempi della Grande guerra e dell’interventismo democratico. Come presidente del Consiglio fu poi messo da parte a favore di De Gasperi. E chi fu quello che fece questo passo? Fu, a nome del Partito liberale, Leone Cattani, che sarà poi uno tra i fondatori de “Il Mondo”, che aveva pure lui delle ascendenze cattoliche, nella Fuci degli anni Venti. Un altro cattolico n ...[continua]

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