1 ottobre 2013. Via da Berlusconi?
Se Letta riuscirà a regalare al paese una destra civile ed europea la sinistra dovrà fargli un monumento (nessun sarcasmo).
(da twitter: @Una_Citta)

2 ottobre 2013.
La visione del mondo dei Cinquestelle: vogliamo tutto, voi siete niente.
(da twitter: @Una_Citta)

10 ottobre 2013. Il battito del feto
L’Ohio sta diventando un laboratorio di politiche contro l’aborto. L’ultima trovata è di costringere le donne incinte a sentire il battito del cuore del feto prima di procedere con l’aborto. Ne parla Erik Eckholm sul "New York Times”.
Angela H., sposata e già madre di due figli, nel corso delle maternità precedenti aveva avuto gravi problemi di salute e una forte depressione. Rimasta di nuovo incinta, d’accordo con il resto della sua famiglia, aveva deciso di interrompere la gravidanza. Nella clinica di Cleveland dove si è recata, le è stato proposto non solo di vedere l’ultrasuono del feto, ma anche di ascoltare il suo cuore, cosa che l’ha indignata. Quella di abortire è una scelta dolorosissima per chiunque, che senso ha renderla ulteriormente più difficile alimentando il senso di colpa?
L’insieme di norme varate in Ohio sono al limite delle linee guida sancite dalla Corte suprema, si avvicinano pericolosamente all’illegalità, ma per ora non hanno ancora varcato il confine.
Per il governatore Kasich, repubblicano, i provvedimenti sono del tutto "ragionevoli”. Chrisse France, direttore di Preterm, grossa clinica non profit nell’East Side di Cleveland, dove vanno ad abortire soprattutto donne povere, denuncia: "Dicono che lo fanno per proteggere la salute delle donne, ma certe leggi, in realtà, risultano dannose e altre semplicemente crudeli”.
Oltre al battito del cuore, ecc., alle donne viene anche chiesto di aspettare ulteriori 24 ore per riflettere. Nel frattempo, alle cliniche che praticano l’aborto viene chiesto di soddisfare requisiti quasi impossibili (infatti più di qualcuna rischia di chiudere) e sono stati tolti quasi tutti i fondi per la pianificazione familiare. Le donne interpellate raccontano chi il fastidio e chi il dolore per questi ostacoli frapposti, che peraltro non hanno fatto cambiare idea a nessuna di loro. Come se non ci avessero già pensato, e parecchio, prima di decidere.

10 ottobre. Internet e l’energia
Mario Paniccia, direttore del photonics technology lab di Intel, e Lorenzo Pavesi, docente di fisica sperimentale della materia dell’Università di Trento, a radio3 scienza, hanno spiegato che, a differenza di quel che si crede, internet non è una tecnologia a basso consumo: i segnali mandati ogni qualvolta facciamo una ricerca su Google o guardiamo una pagina consumano energia. Oggi si stima che internet usi il 5% di tutta l’elettricità consumata negli Usa. Molta energia viene dissipata nello scambio di informazioni, perché i dati viaggiano su fili di rame, sviluppando calore e sprecando appunto potenza, cosa che i supporti in silicio permetteranno di ovviare.
C’è un altro dato poco noto: nei datacenter, dove si trovano i server delle grandi società, il 20% dell’energia viene consumata nell’importare ed esportare dati nelle unità hardware, ma un altro 40-50% se ne va per raffreddare gli impianti.

11 ottobre 2013. Il velo e la Turchia
Lo scorso ottobre, la Turchia ha ritirato il veto sul velo nei luoghi pubblici. La novità fa parte di un pacchetto di misure volte a rafforzare gli standard democratici del Paese; si interviene anche sui diritti della minoranza curda.
Sebnem Arsu e Dan Bilefsky, sul "New York Times”, ricordano come il velo in Turchia sia da sempre una questione molto delicata e che divide il paese.
Il primo ministro Erdogan, da quando è salito al potere nel 2002, ha cercato di andare incontro a quella maggioranza musulmana, che tra l’altro è all’origine del suo successo elettorale. Nel 2011 aveva sancito che nelle università le ragazze potevano entrare col velo, ma i pubblici uffici erano rimasti esclusi. Ora la proibizione di portare il velo negli uffici dello Stato è stato riconosciuto come discriminante per le donne osservanti. Per la prima volta, dalla nascita della Repubblica Turca, fondata da Mustafa Kemal Ataturk nel 1923 dalle rovine dell’Impero ottomano, donne col velo sono state viste negli uffici pubblici. Il divieto resterà in vigore in ambito militare, nelle forze di polizia e nella giustizia, almeno per ora.
Molte figure laiche credono poco alla sincerità di questa mossa: altro che spinta democratica, dietro ci sarebbe più verosimilmente un interesse politico. Basterebbe ricordare i tanti giornalisti incarcerati negli ultimi tempi per sconfessare l’aspirazione democratica di Erdogan.
Ora infatti la preoccupazione è che discriminate finiscano per essere (di nuovo) le donne, ma questa volta quelle che non portano il velo. È di pochi giorni fa la notizia della conduttrice di una tv privata lasciata a casa perché si era mostrata con una blusa scollata.
http://www.nytimes.com

13 ottobre 2013. Il grande Pd
A quanto pare il Pd sta diventando fortissimo fra gli albanesi. (da twitter: @Una_Citta)

14 ottobre 2013. Il sol dell’avvenire.
Tessere false o fasulle: il grande Pd è in marcia e l'orizzonte luminoso dei cda delle controllate, dei consigli regionali, dei parlamenti di Roma, di Bruxelles, è in vista.
(da twitter: @Una_Citta)

24 ottobre 2013. La Bosnia e gli altri
Dopo più di vent’anni dall’ultimo censimento, tenutosi nel 1991, dal 1° al 15 ottobre si è tenuto il censimento in Bosnia Erzegovina. Di mezzo c’è stata la guerra e molte cose sono cambiate: non solo gli uccisi, ma anche gli sfollati interni, gli espatriati, chi tiene la residenza da una parte e prova timidamente a spostarsi in un’altra perché la sua casa ora è in un altro paese. Il timore, come spiega il sindaco di Srebrenica, Durakovic, è che i risultati vengano strumentalizzati.
Se venisse fuori che Srebrenica (prima della guerra abitata per il 76% da bosniaci musulmani) oggi ha una maggioranza serba, il messaggio potrebbe essere che uno può permettersi di falcidiare un gruppo etnico con le armi e poi fare il suo bel censimento…
Già nel corso della raccolta delle informazioni ci sono stati degli incidenti. Entrambi i gruppi si accusano di avere la residenza a Srebrenica, ma di vivere altrove, chi nella Federazione, chi nella vicina Serbia. Per Tahsin Hadziarapovic, rientrato a dieci anni dalla guerra e gestore di un piccolo caffè, il censimento arriva troppo presto. Troppo presto? Sono anni che Bruxelles fa pressioni perché venga compiuto anche questo passaggio in vista dei negoziati per la futura adesione alla Ue. Purtroppo il sistema disegnato da Dayton ha reso il paese ingovernabile: tutti i posti di potere vanno tripartiti con l’esito di un paese dove regnano clientelismo e corruzione. Il rischio di strumentalizzare i risultati è reale. Già oggi la cartina della Bosnia è a macchia di leopardo, con minoranze sparse su tutto il territorio. Il pericolo è di ratificare la pulizia etnica in un paese che ha avuto 100.000 morti e due milioni di sfollati (di cui solo un terzo è rientrato a casa). I risultati del censimento dovranno essere resi pubblici entro tre-quattro mesi. L’obbligo di indicare appartenenza, religione e lingua ha spinto molti, specie tra i giovani, ma anche tra i nostalgici della Yugoslavia, a ribellarsi. C’è chi ha scritto di essere musulmano, ma di appartenere alla religione "jedi”; chi si è intestardito a dire che la sua lingua è il "serbo-croato”, casella inesistente. Chi non rientra nelle tre categorie omogenee previste finisce in quota agli "altri”. Forse il dato più interessante sarà proprio il numero di bosniaci che si sente "altro”. (Le Monde)

25 ottobre 2013. La scodellatrice
"Le scodellatrici devono essere fornite di adeguato materiale antinfortunistico (ai sensi delle proprie procedure operative) e possono essere soggette a malattie professionali”. Cosa fanno le scodellatrici? Danno da mangiare ai bambini nelle mense scolastiche. Insomma, scodellano. Il loro mansionario preciso si può leggere qui:
http://pappapedia.pappa-mi.it/ristorazione/distribuzione/scodellatrici.
Questa ormai non più nuova professione è nata nel 1999 quando ai sensi del comma 4 dell’art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, è stato sancito che i collaboratori scolastici (i vecchi "bidelli”) non potevano più dare da mangiare ai bambini delle materne. Il protocollo d’intesa con i sindacati escludeva infatti dal mansionario del collaboratore scolastico compiti come la predisposizione del refettorio, il ricevimento dei pasti, la loro distribuzione, lo "scodellamento”. Dato che però il cibo preparato andava comunque servito ai bambini, occorreva trovare qualcuno che lo facesse. Ma i bidelli niente, neanche di fronte a incentivi di 800-1.000 euro al mese accettarono: "Non tocca a noi”. Le maestre men che meno. E quindi? Niente paura, la soluzione era semplice: bastava trovare dei lavoratori che si presentassero a scuola intorno all’ora di pranzo e se ne andassero subito dopo, gli scodellatori, appunto. O meglio: le scodellatrici. Oggi, a svolgere questo mestiere sono perlopiù donne. Il loro stipendio si aggira sui 3-400 euro al mese (salvo da giugno a settembre quando non c’è affatto). Gli ultimi contratti sono stati del tipo "a chiamata”.
L’attività in oggetto sarebbe stata "svolta nell’ottica dell’ottimizzazione delle risorse”, si legge nei documenti dell’epoca. Sarà. A suo tempo Rizzo e Stella quantificarono però che un Comune di media grandezza, con 2.000 alunni cui dar da mangiare, spendeva per le "scodellatrici” 300.000 euro ogni anno scolastico.

29 ottobre 2013. Mai troppo giovani
Sull’"International Herald Tribune”, oggi si legge che negli Usa il 38% dei bambini sotto i due anni usano iphone e tablet.
Per molti la maggior passione è sfogliare gli album di foto raccolte dai genitori (che spesso li vedono protagonisti) o scattarne a loro volta; se poi la foto viene male, sanno già come cancellarla. Man mano che gli adulti si convertono a smartphones, kindle, ecc., i loro figli li seguono. Nella ricerca "Zero to Eight: Children’s Media Use in America, 2013” (che ha coinvolto 1.463 bambini fino a 8 anni) di Common Sense Media, un’organizzazione di San Francisco che studia il comportamento dei bambini rispetto alle tecnologie, viene fuori che negli ultimi due anni c’è stato un vero salto nella diffusione di questi apparecchi. Molti genitori sono fieri di questa precocità; c’è anche da dire che le tecnologie sono diventate molto più friendly e facili da usare. Interpellati dai ricercatori, alcuni genitori hanno detto che ci hanno provato a seguire le raccomandazioni dei pediatri di tenere i bambini lontani dagli schermi fino ai due anni, ma senza successo. Già a quell’età i bambini passano in media un’ora al giorno davanti a uno schermo (tv, tablet, ecc.); dai 2 ai 4 anni, le ore diventano due.

1 novembre 2013. Il caso Cancellieri
Comunque sia ricordiamoci di un’altra obbligatorietà, di competenza a ogni uomo e, questa sì, non abrogabile: quella all’azione umanitaria.
(da twitter: @Una_Citta)

8 novembre 2013. Mini-job
Ne hanno parlato anche James Angelos e Nina Adam sul "Wall Street Journal” qualche tempo fa. Il miracolo della Germania continua, ma pare che una quota crescente di lavoratori ne sia escluso. Se infatti il tasso di disoccupazione è da tempo stabile intorno al 7%, circa 7,4 milioni, cioè un lavoratore su cinque, fanno un "mini-job”, cioè svolgono un piccolo impiego che permette loro di portare a casa 450 euro (netti) al mese. Soprattutto nell’ambito del commercio e della salute, questa formula ha avuto un boom inaspettato, tanto che molti iniziano ad avere dei dubbi.
I datori di lavoro ricordano che questa modalità permette a genitori in congedo, pensionati e studenti di portare a casa una piccola somma pulita e a loro di poter usare la forza lavoro con la necessaria flessibilità. Una possibilità apprezzata soprattutto nel campo della ristorazione e della vendita al dettaglio dove ci sono picchi stagionali o addirittura nel corso della stessa giornata.
Il problema è che i mini-job erano stati pensati come occupazioni di passaggio verso qualcosa di meglio, invece è andata finire che i datori non hanno incentivo a trasformarli in lavori regolari e al contempo i lavoratori non sono spinti a lavorare di più per via della totale esenzione dalle tasse. Werner Eichhorst, di un istituto di ricerca, li definisce dei lavori "senza via d’uscita”. In pratica, la gente resta intrappolata in queste posizioni che progressivamente stanno sostituendo quelle regolari. Oggi la paga oraria dei mini-job va dai 5 ai 20 euro al mese e due terzi dei mini-lavoratori non hanno altri introiti. Il rischio della trappola vale soprattutto per le donne, che accedono a questa modalità durante il congedo per la maternità e poi non ne escono più.
I giornalisti riportano la storia di Angela Chevrollier, cinquantenne di Brema, che ha un part-time in una clinica per pazienti in coma; Angela, trovandosi nella necessità di dover aiutare i figli all’università, ha trovato un mini-job: tre sere al mese lavora in un centro psichiatrico, preferirebbe avere un (solo) lavoro che le permettesse di sopravvivere, ma così oggi vanno le cose.
Altrove, come nella città di Delmenhorst, le cose vanno anche peggio: il 35% dei lavori sono mini-job; è la più alta percentuale dell’intera Germania. (wsj.it)

9 novembre 2013. Renzi e la Cancellieri
A Renzi che attacca la Cancellieri, forse il miglior ministro della giustizia della storia repubblicana, ma rea di aver fatto una telefonata di solidarietà ad amici in difficoltà con la giustizia e di essersi interessata, come in tanti altri casi, a una detenuta in pericolo di vita, il tutto, ovviamente, senza trarne alcun beneficio; a Renzi che considera quelle due telefonate un fatto di "estrema gravità” sintomatico della situazione in cui versa l’Italia; a Renzi che dice spesso la frase "in altri paesi…”; a Renzi che vuol fare "il duro e il puro” di fronte a un’opinione pubblica esasperata, vorremmo ricordare che "in altri paesi”, tipo l’Inghilterra, un ministro che ha caricato sulla patente di guida della moglie la perdita di due punti per un’infrazione commessa da lui, traendone un beneficio minimo, certo inferiore a quello che si ottiene usando il pass del marito sindaco per evitare le file del traffico cittadino, s’è dimesso da ministro e da parlamentare e s’è fatto pure due mesi di prigione. E vorremmo ricordare a Renzi che "rispettare la fila” è la regola basilare, fondamentale di ogni comunità; la più importante. (gs)

10 novembre 2013. Veterani
Shaun So, di Forbes, riporta nella sua rubrica, da sempre attenta alle condizioni dei veterani, il post di Melissa W, veterana delle forze armate americane.
"Ciao a tutti. Ho lasciato l’Air Force nel 2007, dopo otto anni di servizio… A quel punto con mio marito abbiamo deciso di tornare nella sua città natale per essere vicini ai parenti, pensando che avremmo trovato dei normali lavori d’ufficio. Da quando ho lasciato la Virginia per il Texas, sono rimasta disoccupata e sono passati sette mesi. All’inizio pensavo che i miei datori di lavoro fossero spaventati dal mio stipendio precedente, poi ho cominciato a sospettare che fosse invece il mio servizio militare a spaventarli. Fino a che a un colloquio mi è stato detto: ‘Non assumiamo gente come lei’, quasi che essere stata nell’esercito mi rendesse una lebbrosa. Mio marito, veterano della Marina, per fortuna ha un lavoro, apprendista elettricista, ma prende poco. Infatti, sta cercando di riarruolarsi in Marina, nella speranza di ottenere un lavoro migliore. Ci sentiamo entrambi un po’ perduti. Se va avanti così francamente non ho idea di cosa fare… Mi sono laureata in Business Administration, ma sembra che al mondo civile non interessi un analista addestrato in ambito militare. Credo che la mia frustrazione venga anche dal fatto che ho ricevuto la formazione migliore che potessi avere… e ora non riesco a trovare un lavoro per salvare la mia vita ... Ho vinto numerosi premi, sono stata lodata da tutti i miei supervisori per 14 anni, non capisco cosa sto sbagliando”. (forbes.com)

11 novembre 2013. 444.743 rubriche al giorno
Grazie alle rivelazioni di Edward Snowden, oggi si sa che la Nsa, la National Security Agency, raccoglie centinaia di milioni di email e profili sia dalle caselle di posta elettronica che dalle chat. Mettere assieme e confrontare le rubriche di milioni di utenti permette di scovare connessioni nascoste e di fare una mappa.
Barton Gellman e Ashkan Soltani, del "Washington Post”, riportano che in un solo giorno, lo scorso anno, il Nsa raccoglieva 444.743 intere rubriche da Yahoo, 105.068 da Hotmail, 82.857 da Facebook, 33.697 da Gmail e 22,881 da altri provider. Messi assieme sono 250 milioni di contatti all’anno. L’esorbitante numero di dati raccolti da Yahoo si spiegherebbe con il fatto che non criptano le connessioni. Google invece è stato il primo, già nel 2010, a mettere connessioni protette (qualcuno dice proprio per proteggere i propri utenti da queste operazioni).
Il portavoce del Nsa ovviamente ha spiegato che loro non sono interessati alle informazioni personali, ma a terroristi e criminali. Il fatto è che in queste liste di contatti non ci sono solo gli indirizzi email, ma spesso anche indirizzi fisici, telefoni, informazioni sull’attività svolta, ecc. Insomma, dalla mappa dei contatti di una persona non sarebbe difficile creare il profilo professionale, ma anche personale, politico, religioso di una persona, con il rischio di incappare anche in qualche errore.
Dalle agenzie di sicurezza viene la rassicurazione che la privacy degli americani è garantita perché è stato costruito un sistema di "checks and balances”. Come per tutti i grandi volumi di dati, il problema è come gestirli, una questione non del tutto risolta, anche per colpa dei messaggi spam, che non riempiono solo le nostre caselle, ma anche i database dell’Agenzia di sicurezza nazionale. (washingtonpost.com)

11 novembre 2013. Morire di carcere
A Torino si è impiccato un detenuto algerino condannato per resistenza e lesioni: sarebbe stato liberato nel giugno 2014. Si tratta di Abdul Mourat, di 25 anni. Per uccidersi ha usato un lenzuolo appeso a una grata. Un altro detenuto italiano ha tentato il suicidio nelle stese ore squarciandosi il ventre con una lametta. L’uomo è stato salvato dalla polizia penitenziaria, che denuncia la situazione: "È un inferno -dice il segretario nazionale Osapp Leo Beneduci- che unisce le sorti di detenuti e agenti. Ci sono 21 mila detenuti in più e 8 mila agenti di meno. Sono 139 le morti legate alle disfunzioni del sistema carcerario italiano”. (Ristretti Orizzonti)

12 novembre 2013. "Salarié aidant”
In Francia si chiamano "salarié aidant”. Sono i dipendenti che si trovano anche ad assistere i genitori o un familiare in stato di bisogno, un po’ come dire lavoratori badanti. Su "Le monde” di oggi Pierre Denis, quadro di un grosso gruppo bancario, parla degli otto anni trascorsi a lavorare e ad aiutare il padre malato, incapace di essere al 100% sul lavoro perché costantemente al telefono a gestire assistenti e visite e comunque sempre in allarme. È stato da questa esperienza che è nata l’idea di "Aidant Attitude”, un fondo di dotazione che offre formazione e informazioni. In base a uno studio del 2012, il 14 % dei dipendenti si occupa di un parente anziano e i numeri sono destinati a crescere. Questo ha ovviamente delle ricadute sulla produttività, ma è al contempo un problema non facilmente risolvibile. Da qualche tempo alcune grandi aziende stanno sperimentando delle soluzioni. Il gruppo editoriale Bayard, la Danone e la finanziaria Eurazeo hanno da poco sottoscritto Responsage, una piattaforma messa in piedi da Asap Soluzioni, una start-up. Dallo scorso giugno, i dipendenti hanno a disposizione un numero di telefono e una mail per chiedere assistenza (informazioni, ma anche visite e consulenze), con la garanzia di avere una risposta entro 72 ore. Altre realtà hanno inventato una sorta di "cassa comune” di giorni da spendere per i propri cari. La Novartis ha creato un congedo speciale "di prossimità”: i 2.000 dipendenti possono beneficiare di 14 giorni a semestre. Il gruppo L’Oreal addirittura ha previsto un congedo retribuito senza limiti (mentre l’assistenza pubblica concede al massimo 21 giorni) per i dipendenti che si trovano ad accompagnare i propri cari nella fase terminale. La fragilità di questi progetti è che sono di esclusiva iniziativa (e copertura finanziaria) delle aziende, che così hanno voluto anche dare un segnale, in attesa di una risposta pubblica. Michèle Delaunay, che presiede un ministero dal nome ambizioso (è ministra "dell’autonomia e delle persone anziane”) ha garantito che nel 2014 ci saranno degli interventi di aiuto alle famiglie e ai lavoratori che si prendono cura di un anziano. (Le monde)

13 novembre 2013. Vergognarsi di fare il medico in UK
Tra il 2011 e il 2012 nel Regno unito sono stati persi oltre 1.700 letti psichiatrici. Sul "Guardian” del 23 ottobre, Alex Langford, psichiatra del sistema sanitario nazionale inglese, ha scritto un pezzo molto accorato di allarme per quello che sta succedendo ai pazienti con disagio mentale. Sta infatti capitando, racconta il medico, che si presentino genitori o parenti con il malato in fase critica e in ospedale non ci sia posto, non per quel tipo di paziente almeno. A quel punto non resta che cercare una struttura privata (che vuol dire fare anche centinaia di chilometri) o tornarsene a casa.
Il dottor Langford dice di non essersi mai vergognato tanto di lavorare per la sanità pubblica come quando deve dire a queste persone che non c’è posto.
La cosa più triste è che pare che a questi pazienti si possa offrire un tipo di ricovero che per qualunque altro malato risulterebbe inaccettabile, come ad esempio proporre un divano anziché un letto, o il posto di qualcuno momentaneamente altrove. Certo, sempre meglio quello che essere mandati via, ma è chiaro che quella "parità” tra salute fisica e mentale sancita anche la scorsa estate dal governo è lungi dall’essere raggiunta. Purtroppo questi pazienti hanno anche il difetto di non essere inclini all’organizzazione di azioni collettive di protesta e di rivendicazione dei loro diritti. (theguardian.com)

12 novembre 2013. Legge elettorale.
La domanda dovrebbe essere una sola: ci fidiamo uno dell'altro? Se sì è maggioritario, se no è proporzionale.
(da twitter: @Una_Citta)

13 novembre 2013. Calorie
Le calorie dei cibi, ossessione di chi è a dieta e che comunque oggi devono essere riportate nelle etichette degli alimenti che acquistiamo, forse non sono quelle che crediamo. Sull’ultimo numero de "Le Scienze”, gran parte dedicato al cibo, Rob Dunn, biologo dell’Università del North Carolina, avanza degli argomenti molto convincenti sul perché i numeri che leggiamo sono fuorvianti. L’errore sta nel calcolare le calorie del cibo, senza considerare debitamente quello che succede una volta che l’alimento viene ingerito. Per esempio, se si prendono i vegetali, alcuni possono avere cellule con pareti più coriacee o meno e questo comporta ovviamente un lavoro da parte dell’apparato digestivo che consuma una quota delle calorie ingerite. Vengono consumate calorie anche quando si mangia della carne cruda, perché in questo caso ­­sono presenti patogeni che inducono il corpo ad attivare il sistema immunitario. Le proteine inoltre, anche cotte, richiedono fino a cinque volte più energia per essere digerite rispetto ai grassi perché ci sono le catene di amminoacidi da "sbrogliare”. All’opposto, un alimento come il miele arriva nel flusso ematico senza quasi disturbare l’apparato digerente.
Di tutto questo nelle etichette non c’è traccia. Così come non c’è traccia, ovviamente, di quello che avviene in caso di cottura. Ma non finisce qui. Conta moltissimo anche la lunghezza dell’intestino (Dunn racconta che alcune popolazioni russe hanno un intestino crasso più lungo di 57 cm rispetto ad alcune popolazioni polacche), la presenza o meno di enzimi e infine la "comunità” di batteri dell’intestino, che ormai alcuni scienziati considerano un altro organo. Su quest’ultimo versante, Dunn esprime una preoccupazione: prediligere cibi trattati sta riducendo la popolazione dei nostri microbi intestinali, fondamentali proprio per digerire i cibi più ricchi di vitamine e nutrienti. (Le Scienze)

14 novembre 2013. Esercitazioni
Oggi sul "Guardian", Harriet Sherwood, da Gerusalemme, denuncia come i palestinesi vengano usati nell’addestramento dei soldati israeliani. In pratica vengono sottoposti a raid nei loro villaggi, perquisiti personalmente e nelle loro abitazioni, perfino (fintamente) arrestati, senza essere informati che si tratta di un’esercitazione. Yesh Din, organizzazione israeliana per la tutela dei diritti umani, ha denunciato in particolare due casi: l’incursione in un villaggio che ha suscitato terrore e sgomento, specie tra i bambini, e quella addirittura in un’abitazione privata proprio durante l’Iftar, la cena che segue il digiuno durante il Ramadan. La famiglia di Amro si è vista così entrare in casa 15 soldati armati di tutto punto. L’esercito ha confermato di sceglierli appositamente ignari di queste operazioni, proprio come test, anche se ha ammesso che quelle azioni sono state probabilmente condotte in modo "improprio”. (theguardian.com)

15 novembre 2013. Crisi
Dallo scoppio della crisi economica in Grecia, sono circa 200.000 i migranti albanesi che hanno deciso di tornare in patria. Una scelta difficile e spesso traumatica per i più giovani, che spesso "tornano” e devono adattarsi ad un paese che non hanno mai vissuto. Gilda Lyghounis ha raccolto alcune di queste storie sul sito balcanicaucaso.org.
A Tirana ora tutti lo chiamano "Greg”, il Greco. Quando viveva a Lagonisi, sulle coste meridionali dell’Attica, invece, il suo nome di battesimo era "Christos”. I suoi genitori gliel’hanno detto all’improvviso, un pomeriggio prima che andasse ad allenarsi a basket, che sarebbero dovuti tornare a vivere in Albania.
è successo un anno fa, quando Christos - Greg aveva appena compiuto sedici anni: suo padre, muratore, non trovava più lavoro da sei mesi, con i guadagni in nero di sua madre che faceva le pulizie nelle villette sulla costa la famiglia non riusciva più a tirare avanti. Ma per un adolescente nato e cresciuto a Lagonisi, dove aveva sempre frequentato le scuole greche, dall’asilo al liceo, partire per Tirana è stato come andare su Marte. Non sapeva neanche leggere e scrivere in albanese... Quella di Greg-Christos è una delle tante testimonianze di ragazzi e ragazze di origine albanese raccolte dal quotidiano "Ta nea” nei giorni scorsi. Solo nel periodo fra il 2004 e il 2012 secondo l’anagrafe ellenica sono nati su suolo greco 104.225 bambini da genitori immigrati albanesi. Nel 2004, Greg-Christos era già nato. I suoi genitori, infatti, erano arrivati dall’Albania a piedi nel lontano 1994, con il sogno di formare la loro famiglia nell’Unione europea. Il loro bambino è nato in riva al mare: "Adesso per vedere il mare, da Tirana, devo fare quasi due ore di corriera” dice Christos con amarezza. (la versione integrale su: balcanicaucaso.org)

15 novembre 2013. Depressione
António Horta-Osório, amministratore delegato del gruppo Lloyds, si è ricoverato nel 2011 in una clinica dopo che per cinque giorni consecutivi non era riuscito a dormire. Dopo alcuni mesi di trattamenti, è rientrato al suo posto nel 2012.
Sir Hector Sants si è licenziato lo scorso 13 novembre dai vertici della Barclays. Da settimane era in congedo per "esaurimento e stress”. È solo l’ultimo di una serie di casi di esaurimento che stanno coinvolgendo i massimi livelli del mondo finanziario europeo. Carsten Schloter, direttore generale di Swisscom e presidente di Fastweb, si è suicidato lo scorso luglio, e Pierre Wauthier, direttore finanziario del colosso delle assicurazioni Zurich, è stato trovato morto il 27 agosto. In un articolo apparso il 14 novembre sul "Financial Times”, Lord Dennis Stevenson -già a capo della banca Hbos- raccoglie queste storie e parla anche della propria personale esperienza di esaurimento. Stevenson, che aveva scoperto di soffrire di "depressione endogena”, oggi si è fatto promotore di una proposta di legge per eliminare la discriminazione verso le persone che soffrono di problemi di salute mentale. Il suicidio ha assunto la dimensione di "crisi globale sanitaria” e si pone oggi ai primi posti nelle cause di morte tra le persone nella fascia d’età 15-44.

16 novembre 2013. Il caso Cancellieri
Quando tutti, chi più chi meno, siamo colpevoli, a scatenarsi è la caccia al presunto innocente.
(da twitter: @Una_Citta)