Cos’è Napoli. Meglio: chi è Napoli. La città violenta, quando non feroce, dei criminali, dalla camorra alle baby gang. La città col golfo splendente e il Vesuvio che richiama le origini del mondo. Il luogo dei maestri dello scippo o quello dei mastri cantori. E potremmo continuare con le antinomie, giocando al dott. Jekyll e mr. Hyde. Ma forse qualcosa di nuovo sta insorgendo sul piano politico sociale -e ne abbiamo parlato raccontando le imprese di Je so’ pazzo- e sul piano culturale, che poi vuol dire invenzione di nuove configurazioni e forme dell’essere fino a ieri inesistenti e/o impensate.
Se dovessi dirlo con il mio linguaggio di fisico che studia la città, definirei Napoli un sistema sul bordo del caos.
Questo tipo di sistemi ha grosso modo due possibili soluzioni. La prima precipitando nel caos, con il verificarsi di fenomeni più o meno catastrofici, che per quanto riguarda i cittadini possono assumere la forma del panico, di violenza sociale diffusa -homo hominis lupus- degrado accelerato delle relazioni e dell’habitat, fino a situazioni più estreme come quella del Bronx a Nyc, che fu dichiarato negli anni Settanta e Ottanta addirittura zona di guerra. La seconda soluzione consiste nell’introduzione di pensieri, linguaggi, pratiche, azioni, produzione di oggetti e di socialità in grado di trasformare il sistema da quasi caotico a complesso, più precisamente un sistema critico autorganizzato, il che significa: adattivo, resiliente, e per qualche verso intelligente. Dove il cuore, la mente e il volano del movimento verso un sistema complesso siffatto è l’emergere di processi di autorganizzazione e autodeterminazione.
I miei amici di Je so’ pazzo mi hanno spiegato che un varco si è aperto; uno spartiacque a dividere le acque nere dalle acque limpide è nato durante la crisi dei rifiuti (2007), quando venne alla luce un grumo maleodorante di potere che copriva tutto l’arco delle forze in campo, da quelle politico istituzionali fino a quelle di ispirazione criminale e camorrista, dal bassolinismo per arrivare, via l’onorevole Cosentino, ai clan della camorra, come i misso, i casalesi, ecc. Così il re rimase nudo, cioè il sistema di potere fu del tutto delegittimato, e le persone cominciarono a raccogliere e smistare la monnezza in proprio, autorganizzandosi con soluzioni di buon senso, efficaci, fino all’attuale raccolta differenziata estesa a tutta la regione (51,6% la più virtuosa dell’intero Mezzogiorno, mentre però Napoli città rimane al 31,31%, in provincia al 47%, dati di Lega Ambiente per il 2016). Quindi nel 2011 De Magistris fu eletto sindaco, sostenuto da una propria lista civica, Dema: Democrazia Autonomia, col concorso di varie altre liste tutte civiche.
Maurizio De Giovanni ha scritto molti libri belli tra cui una saga, "I Bastardi di Pizzofalcone”, diventata anche una serie televisiva, che in qualche modo è una metafora della dinamica di cui dicevo, da un sistema caotico che precipita nel disastro fino al rischio di essere annichilito a un sistema critico autorganizzato, dove critico significa che il caos è sempre lì sul bordo, a vista, ovvero il sistema critico è sempre costituente mai costituito: la consuetudine con la visione della fine del mondo come stabile condizione perché il mondo continui, come scrive Calvino in introduzione a Le rovine di Parigi di Giovanni Macchia. Così, con Amalia Tiano De Vivo, la mia guida nel vulcano di Napoli, andiamo a cercare De Giovanni alla prima del Don Chisciotte della Pignasecca, una sua rilettura del romanzo di Cervantes. Dopo alcune cordiali chiacchiere, De Giovanni ci dà appuntamento per il giorno dopo al Circolo Ufficiali della Marina Militare, dove presenterà un libro di racconti e ricordi amorosi, autrici alcune signore tra cui soltanto una di professione scrittrice. Fa strano incontrarlo in questa cornice ovattata, fuori dal clamore di Napoli, al caffè del circolo con qualche ufficiale in divisa elegante e il berretto marinaro sotto il braccio.
Esordisce.
Napoli è una metropoli con tre milioni e mezzo di abitanti, con una densità al chilometro quadro altissima. L’area napoletana, dove posso andare fino a Salerno e Caserta senza uscire dalla città, è la più popolosa d’Europa. Unica area metropolitana europea del Meridione, ha un Pil inferiore a quello greco. Quando diciamo Napoli dobbiamo pensare ad Atene, Istanbul, San Paolo in Brasile, cioè siamo in un’area economicamente disastrata con, per esempio, il record europeo di dispersione scolastica. Un’area con enormi diseguaglianze, un grande disagio e una completa assenza dello Stato. Se invece parliamo di diversità, che è cosa differente dalla diseguaglianza, la diversità è positiva, allora il discorso cambia. Intanto Napoli è terra di grandi confronti culturali. Ci sono aree in cui non c’è un presidio ospedaliero, un commissariato di polizia, un ufficio della posta, ma ci sono cinque teatri attivi. Quindi il presidio culturale è fortissimo. Napoli ha il maggior numero di scrittori italiani tradotti all’estero, senza avere una casa editrice con distribuzione nazionale. Se parliamo dell’offerta che Napoli dà di se stessa fuori, come tutte le offerte è legata alla domanda. La domanda che viene da fuori è: la camorra. Non parlo solo di Gomorra, ma La Gatta Cenerentola, Amore e Malavita, I Falchi, ecc., sono film e opere di camorra, la camorra, cioè, è un prodotto narrativo che risponde a una domanda esterna. Altra cosa è la narrazione che la città fa di se stessa. Non che la camorra non esista ma è certamente parziale come narrazione della città, che è molto più polimorfa, poliedrica, sfaccettata. Questa è una città in cui c’è il miglior aeroporto d’Europa sotto i dieci milioni di viaggiatori -Capodichino ha appena ricevuto il premio Aci Europe- la stazione centrale è in una condizione migliore di quella di Milano e della stazione Termini. Il Museo Archeologico Nazionale è all’avanguardia a livello mondiale per l’offerta multimediale; la città ha segnato quest’anno un incremento del 49% di visitatori a fronte di una media nazionale del 6%. Ora, non volendo considerarli tutti suicidi aspiranti, si ritiene che la città offra qualcosa di ben diverso dalla camorra. E però c’è la tendenza naturale a servirsi della camorra come alibi, quando viene presentata come qualcosa di indistinto, di latente e di invincibile. Ma questo non è vero, tant’è che il clan dei casalesi, la realtà criminale più pericolosa di questi ultimi vent’anni, è stato sgominato, segno che non è impossibile fronteggiare questi fenomeni.
Quindi bisogna distinguere: se parliamo di una realtà gravata dall’assenza dello Stato e da profonde disuguaglianze, su questo non c’è dubbio, se invece intendiamo una città che ha un fermento, una voglia, una potenza di rinnovamento culturale enorme, io devo dire che questa è una città che ha bisogno di tantissimo, che ha mille necessità, ma io ho sessant’anni e non ricordo mai la città messa meglio di così. L’aeroporto di Napoli interagisce col Mann (Museo Archeologico Nazionale) ed espone alcune statue del museo, cioè l’offerta artistica della città comincia dall’aeroporto: uno arriva a Napoli ed entra in un museo. Questo a prescindere dagli amministratori, cioè Napoli decide da sola quando migliorare, si autodetermina. A un certo punto è come attraversata da una corrente di grande vitalità. Umberto Eco diceva che l’Italia senza Napoli non sarebbe la stessa, ma Napoli senza l’Italia sarebbe la stessa. Eppure Napoli non è autoreferenziale, piuttosto profondamente critica nei confronti di se stessa: l’unica batteria di cannoni che sta a Castel dell’Ovo è rivolta verso la città, cioè non fronteggia gli invasori ma i cittadini napoletani. Napoli teme se stessa, Napoli ha sempre accolto gli invasori come fossero dei liberatori, venendo sempre smentita. Napoli si autodetermina ma oggi sindaco è De Magistris, che è una persona sicuramente valida, molto onesta, molto intelligente e profondamente innamorata della città, ma questi tre pregi portati all’estremo diventano tre difetti: l’onestà si trasforma in diffidenza, l’intelligenza in arroganza e l’amore per la città in sciovinismo. Lui purtroppo tende a diventare così. Ma in che senso la città si autodetermina? Alcune forze entrano a sistema. Per esempio, la produzione artistica innanzitutto, l’impegno sociale, l’associazionismo fortissimo e le opportunità economiche. Il turismo è diventato un’industria. Faccio un esempio: se tu apri un negozio di telefonini te ne fotti di come è il marciapiede davanti alla tua bottega. Se apri un bar invece no, il marciapiede lo vuoi pulito e ben messo. Questo implica un miglioramento della città: bar, caffè, pub, B&B, pensioni, alberghi, eccetera, implicano un controllo capillare sullo stato della città. Questa è una città stretta e molto popolosa dove o tu sei tollerante o vivi male. Quindi la tolleranza è una necessità.
Non a caso non si verificano episodi di intolleranza di nessun tipo, né razziale né economica. Qui c’è rabbia sociale che alimenta per esempio il fenomeno delle baby gang col contributo dei social che rendono evidente il fenomeno delle diseguaglianze, per cui questi ragazzi partono per vendicarsi del futuro che non hanno.
Aprendo con Pietro Grasso la campagna di Liberi e Uguali l’ho detto: l’urlo di dolore di questa città è determinato dalla necessità di risolvere le diseguaglianze. Noi stiamo seduti su una bomba innescata, ma il problema non è solo di Napoli. A Napoli è accentuato dalla compresenza delle aree disagiate con quelle agiate. Cioè a Milano se io parto da Quarto Oggiaro ci metto un’ora in motorino per arrivare al centro, a Napoli io faccio un metro e dai quartieri spagnoli sono già a Chiaia.
Io credo che Napoli per moltissimi versi sia, possa essere, un laboratorio sociale per l’intero paese. Davanti alla scuola di Arturo, il ragazzo accoltellato, uno striscione diceva: o si salvano tutti o non si salva nessuno. Nessuno di noi può pensare in questo paese di salvare il proprio orticello mentre attorno c’è la guerra nucleare. Non si ferma uno tsunami chiudendo una finestra.
Quindi il nostro si avvia a presentare il libro delle signore, di fronte a una platea quasi tutta femminile assai critica verso i maschi, genere di cui De Giovanni fa parte, con molta ironia.
Alla fine di questo nostro breve viaggio nel groviglio di Napoli, splendida città e terribile, arriva il post di De Magistris infuriato per la montagna di debiti cumulati dagli amministratori precedenti. Scrive il sindaco: "Da sette anni governiamo la città di Napoli senza soldi, sommersi da pesantissimi debiti ereditati, in affanno finanziario ed economico costante, eppure Napoli si è riscattata con il suo stupendo capitale umano, con la passione, con i talenti culturali, con le sue infinite bellezze. Siamo primi in Italia per crescita culturale e turistica. Da gennaio, però, abbiamo nuovamente le casse del Comune bloccate per un pignoramento di un debito risalente al 1981 -terremoto Irpinia- e siamo sotto la clava di debiti mostruosi del commissariamento rifiuti dell’epoca berlusconiana-bassoliniana” [...].
Allora viene in mente Italo Calvino, laddove scrive: "L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce ne è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Napoli, 7-11 febbraio
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