È un livido mattino uggioso a Avdiivka ma almeno non si spara. Pochi giorni prima a Monaco, ai margini della rituale conferenza internazionale sulla sicurezza che si tiene ogni anno in Baviera, i ministri degli esteri di Francia, Germania, Russia e Ucraina hanno negoziato un nuovo cessate-il-fuoco che impegna le parti belligeranti nel Donbass al ritiro delle armi pesanti dalla linea di contatto. è ormai da parecchie settimane che il conflitto nelle regioni orientali dell’Ucraina si è avvitato in questa cittadina dove sopravvivono ancora, in quotidiana precarietà, 17.000 abitanti, circa la metà dei residenti in tempo di pace. Chi poteva è già fuggito, riparato da parenti e amici in zone più sicure del paese, in attesa di una soluzione che appare ancora lontana, troppo lontana per alimentare qualche speranza. Anche nel settembre scorso e poi ancora a Natale le forze governative e i separatisti avevano concordato una tregua che era durata solo poche ore, il tempo di rinserrare le file, riposizionare gli armamenti e oliare i mitagliatori per ricominciare ad ammazzarsi.
Sono in buona parte ragazzi di vent’anni i soldati ucraini che presidiano la zona industriale di Avdiivka strappata agli insorti durante le prime fasi della guerra, nella primavera del 2014, dopo feroci combattimenti. Gli scheletri di capannoni e hangar resistono spettrali fra i rottami, le lamiere e le carcasse di auto. Della fascia di vegetazione circostante rimangono solo arbusti bruciacchiati e alberi dalle cime tranciate dal fuoco incrociato dei lanciarazzi. Dall’altra parte c’è il nemico: stessa lingua, russo in prevalenza, stessa fede, cristiano ortodossa, stesso paese d’origine, l’Ucraina.
Un nemico che non potrebbe essere così forte se non ci fosse il robusto sostegno della Russia, che provvede generosamente con assistenza, equipaggiamento e personale militare e i frequenti convogli "umanitari” con generi di prima necessità per le popolazioni colpite dall’emergenza. Le autoproclamate Repubbliche Democratiche di Donetsk e Lugansk continuano a combattere ma i tempi e gli obiettivi della guerra sono decisi altrove, al Cremlino, dove tutto è calcolato con freddo e cinico opportunismo.
Settecento chilometri di strada ferrata separano Kiev da Kostiantynivka. Il treno della notte che collega le due città sembra uscito da un museo di ferrivecchi. Massiccio, imponente, ingombrante, molto rialzato rispetto ai binari mi ricorda le vacanze estive di parecchi anni orsono quando con il biglietto "interrail” mi spostavo con zaino e sacco a pelo sui vagoni alla scoperta dell’Europa. La stazione centrale della capitale brulica di viaggiatori. Quelli che si muovono verso il Donbass lo fanno solo per ragioni impellenti.
Le carrozze, comunque, sono tutte occupate. Anche le cuccette, poi, pur mostrando i segni del tempo, sembrano sufficientemente confortevoli. Per quelli come me che non riescono a dormire in treno, purtroppo, si prospetta una penosa notte di dormiveglia tra letture svogliate e lunghe pause con gli occhi persi a fissare il soffitto dello scomparto mentre fuori si intravede ogni tanto qualche luce nel buio profondo che fa da contrasto al chiarore della striscia ininterrotta di coltre nevosa a ridosso dei binari. Le luci dell’alba e, finalmente, l’arrivo alla meta giungono come una liberazione da una penitenza subita di cui avrei fatto volentieri a meno.
La stazione di Kostiantynivka è diventata il capolinea per coloro che, per necessità o per scelta, si avventurano nelle zone di conflitto. Fino alla primavera del 2014 era solo un punto di transito lungo la direttrice fra Kiev e Donetsk; oggi è il centro dove si smistano le merci dirette ai villaggi che si trovano sulla linea di contatto. Oltre Kostiantynivka, ancora più a est, si entra nella zona militare. Posti di blocco e check-points punteggiano la strada che porta ad Avdiivka. Viaggio su un furgone Volkswagen blindato in dotazione all’esercito al seguito di una delegazione composta dall’eurodeputata tedesca Rebecca Harms e due deputate ucraine, Irina Gerashchenko e Mariia Ionova che si muove a zig zag fra i crostoni di ghiaccio, le buche improvvise e le deviazioni fuori carreggiata obbligate a causa degli sfondamenti del manto di asfalto. Con noi ci sono anche alcuni giornalisti in trasferta per l’occasione. L’unica industria di Avdiivka che ancora funziona si incontra ad inizio città. Tra il fumo denso delle ciminiere produce "coke”, il carbone artif ...[continua]

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