Ottobre 2016
Cielo imbronciato sul Majdan. Nubi compatte strozzano i timidi raggi del sole acerbo del mattino che non ha ancora la forza di riscaldare gli incerti passanti che tagliano la piazza. Qualche piccione arruffato saltella sul selciato danzando attorno ad un presidio di testimoni di Jehova pronti ad intercettare gli incauti avventori dei locali del centro distribuendo loro bibbie che certificano la parola di Dio. Nel mezzo si staglia un grande poster con le foto delle vittime dell’eccidio del febbraio di due anni fa, perite in quello stesso luogo sotto il fuoco dei cecchini dei famigerati corpi speciali della polizia di Yanukovich. Di fianco la sede dei sindacati che ospitava il quartier generale dei manifestanti è impacchettata dalle impalcature sulle quali muratori e carpentieri provvedono alle laboriose opere di restauro dopo l’incendio scoppiato durante gli scontri di allora. Lungo il corso Kreshatik il traffico procede a strappi scanditi dal ritmo dei semafori. Fatico ad orientarmi in questa piazza dove ritorno dopo una lunga assenza. Mi guardo intorno spaesato nello spazio vuoto mentre nella mia testa scorrono e si sovrappongono alla rinfusa immagini e ricordi di angoli famigliari che stento a riconoscere adesso che hanno riacquistato le grigie sembianze della routine quotidiana. La normalità annoia e uccide la fantasia ma non cancella il passato recente, un passato che a tratti riappare e continua a ingombrare i sogni e le ambizioni dell’Ucraina.

Il referendum olandese
Tutto era cominciato nell’ottobre del 2013 quando l’allora presidente Yanukovich si era improvvisamente rifiutato di sottoscrivere l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea da lui stesso negoziato e concluso. Sono trascorsi tre anni nei quali in Ucraina è accaduto di tutto, fra dimostrazioni spontanee, proteste più o meno pacifiche, sommosse e rivoluzioni, occupazioni di spazi pubblici, azioni di resistenza attiva, scontri violenti con la polizia, esecuzioni di massa, cambio di regime, invasioni camuffate, guerre di secessione, conflitti congelati con migliaia di vittime e milioni di profughi, e quell’accordo non ha ancora trovato attuazione. Questa volta, tuttavia, non è colpa di Kiev, è la controparte europea che non è in grado di far fronte agli impegni presi . Basta poco per inceppare i contorti e farraginosi meccanismi decisionali dell’Unione a testimonianza di quanto fragile, delicata e complicata sia la macchina comunitaria. Ogni accordo internazionale sottoscritto dall’Ue per entrare in vigore deve essere ratificato secondo le procedure previste dai trattati e in conformità con le norme stabilite dall’ordinamento giuridico di ciascuno dei paesi membri. In parole povere occorre il consenso del Consiglio e del Parlamento Europeo, da un lato, e quello dei governi e dei parlamenti nazionali dei paesi membri, oltre che del paese terzo, dall’altro. Se manca anche uno solo di questi passaggi l’accordo resta lettera morta, buono solo per la tesi di laurea di qualche studente di scienze politiche o di qualche saggio o dissertazione accademica. In genere il tempo tecnico che intercorre fra la firma ufficiale del documento e la conclusione della procedura di ratifica è di circa un paio di anni. 
Non era mai successo, in precedenza, che un paese membro bloccasse l’iter procedurale dopo la firma ufficiale delle parti, avvenuta, in questo caso, il 27 giugno del 2014. Il 6 aprile scorso, però, i cittadini olandesi sono stati chiamati a pronunciarsi tramite referendum sull’approvazione dell’accordo fra Unione Europea e Ucraina e una schiacciante maggioranza, il 61% dei votanti, ha espresso parere contrario. Poco importa se il risultato non è vincolante trattandosi di una consultazione priva di valore giuridico; di fatto il governo dell’Aja si è sentito nell’obbligo di sospendere la notifica a Bruxelles, ultimo passaggio tecnico, della ratifica parlamentare approvata a stragrande maggioranza pochi mesi prima gettando nel panico le autorità europee. L’iniziativa referendaria era stata promossa da gruppi euroscettici decisi ad interrompere il processo di integrazione del vecchio continente. Più che dell’accordo in sé, nel corso della campagna si è discusso di politiche comunitarie e nelle urne si è sfogata la rabbia di coloro che reputano l’Unione responsabile di tutti i mali che affliggono l’Olanda. Con il risultato che poco più di due milioni e mezzo di elettori olandesi hanno dato scacco alla diplomazia euro ...[continua]

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