Personalmente ritengo sbagliato e inaccettabile che il referendum sulla riforma costituzionale, previsto ormai per il prossimo 4 dicembre 2016, venga tramutato in una sorta di plebiscito a favore o contro il Presidente del consiglio Renzi e il suo Governo. Qualunque sia il giudizio che si abbia nei confronti del Governo Renzi -che può essere positivo o negativo o anche articolato rispetto ai singoli provvedimenti del suo programma- nel referendum deve prevalere esclusivamente il giudizio sull’insieme della riforma costituzionale. Intendo quindi esprimermi soltanto sulla materia costituzionale, e sulla connessa (anche se non sottoposta a referendum) legge elettorale per la Camera dei deputati (il cosiddetto "Italicum”), che ne costituisce il logico completamento.
Una riforma costituzionale non deve mai essere legata alle sorti di alcun Governo "pro tempore”, perché la Costituzione, anche se riformabile e riformata (alle riforme precedenti ho partecipato io stesso), è la legge fondamentale che riguarda tutti i cittadini e anche tutte le forze politiche, a prescindere dalle transeunti maggioranze che sostengono di volta in volta uno specifico governo. E deve avere la capacità e possibilità di una lunga durata e validità, al di là delle singole contingenze politiche. Il popolo sovrano si è già pronunciato due volte con un referendum su complesse riforme costituzionali: la prima volta nel 2001 approvando la riforma del Titolo V del centrosinistra (che ora invece si vuole stravolgere) e la seconda nel 2006, bocciando la riforma Berlusconi-Calderoli. Nessuna ripercussione sui governi.
Per quanto riguarda la riforma elettorale, entrata in vigore il 1° luglio 2016, essa è strettamente connessa alla riforma costituzionale, pur se attualmente non sottoposta a referendum, mentre successivamente sarà sottoposta al giudizio della Corte costituzionale, anche alla luce della sentenza n. 1 del 2014 sulla incostituzionalità di alcuni aspetti essenziali della precedente legge elettorale (il cosiddetto "Porcellum”). Penso che si tratti di una legge inaccettabile sotto diversi profili. In particolare ritengo sbagliato: 1) che il premio di maggioranza possa essere dato anche a chi non ha raggiunto il 50% dei voti espressi, che permetterà di ottenere il premio di maggioranza anche sulla base del consenso di una ristretta minoranza di elettori (nell’attuale sistema tripolare e con i crescenti tassi di assenteismo, potrebbe realisticamente trattarsi anche solo del 20-25% degli aventi diritto al voto); 2) che sia esclusa la possibilità di formare coalizioni, come invece è previsto sia per le elezioni regionali che per le elezioni comunali, senza che questo abbia comportato problemi di governabilità, permettendo anzi una più ampia rappresentatività e un più ampio pluralismo sia tra le forze di governo che tra quelle di opposizione; 3) che siano previsti i capilista bloccati decisi dalle segreterie dei partiti, senza possibilità per gli elettori di esprimere su di loro il voto di preferenza, e che per di più sia prevista per i capilista la possibilità di candidature plurime (fino a dieci!), mettendo in questo modo esclusivamente nelle mani dei segretari di ciascun partito la scelta verticistica e autocratica degli eletti, espropriando gli elettori di ogni possibilità di scelta e ritornando a realizzare conseguentemente una Camera dei deputati in grande prevalenza di "nominati” e non di eletti; 4) che tutto questo comporti di fatto una modificazione surrettizia della forma di Governo, espropriando sostanzialmente il Presidente della Repubblica del potere effettivo di nominare il Presidente del Consiglio incaricato, come previsto dalla Costituzione, arrivando invece ad una sorta di "democrazia di investitura” obbligata sulla base dei risultati elettorali.
Per quanto riguarda la riforma costituzionale, un giudizio analitico può far emergere sia luci che ombre, ma complessivamente si tratta di una riforma non condivisibile per il suo impianto complessivo. Tra gli aspetti positivi possono essere citati, ad esempio, la più rigorosa disciplina della decretazione d’urgenza (inflazionata in modo crescente anno dopo anno e ormai giunta, proprio con Renzi, a livelli inaccettabili) e la soppressione del Cnel, organismo ormai totalmente obsoleto. Tuttavia entrambi gli obiettivi avrebbero potuto essere raggiunti con singole leggi costituzionali "ad hoc”, nella logica dell’art. 138, che avrebbero realisticamente trovato il consenso della quasi totalità del Parlamento. E comunque, in caso di vittoria dei No nel referendum, potranno essere realizzati nel prossimo futuro appunto con singoli provvedimenti di natura costituzionale, anche nell’ambito temporale dell’attuale legislatura.
Tuttavia le ombre e gli aspetti critici della riforma prevalgono nettamente sui pochi aspetti positivi. Il superamento del bicameralismo perfetto o paritario, obiettivo pur condivisibile, è stato realizzato in modo confuso e pasticciato, sotto il profilo sia della composizione del futuro Senato, sia  delle sue competenze legislative e del suo rapporto con la Camera dei deputati e con il Governo. Appaiono inaccettabili e contradditorie tanto le modalità di elezione indiretta, del resto demandate ad una futura legge ordinaria di cui non si conoscono le caratteristiche, quanto la sua ambigua natura politica, priva di effettiva rappresentanza territoriale.
Per quanto riguarda l’altro fondamentale aspetto della riforma, e cioè la modifica del Titolo V in materia di autonomie regionali, anziché individuare alcune limitate e specifiche correzioni rispetto alla riforma introdotta nel 2001 e confermata dal referendum popolare -ad esempio in materia di infrastrutture nazionali, di energia e di turismo-, si è scelta la strada di un totale stravolgimento dell’impianto precedente. Anziché arrivare ad una forma di federalismo o di regionalismo ben articolato ed equilibrato, si è arrivati ad una vera "controriforma” con una fortissima ricentralizzazione dei poteri in capo allo Stato, svuotando di poteri, competenze e responsabilità il sistema delle Regioni a Statuto ordinario, congelando invece gli effetti della riforma stessa  per quanto riguarda le cinque Regioni a Statuto speciale. Inoltre la riforma costituzionale triplica le firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare e riduce il quorum di validità per i referendum popolari solo a prezzo di un forte aumento (da 500.000 a 800.000) delle firme necessarie per la loro promozione, a fronte delle enormi difficoltà per la certificazione delle firme dei cittadini.
Complessivamente, il combinato disposto della riforma costituzionale e della complementare legge elettorale darebbe vita ad un assetto costituzionale e istituzionale fortemente squilibrato sul lato della presunta "governabilità”, a scapito della altrettanto essenziale -e fondamentale in democrazia- rappresentatività. Non sarà la campagna demagogica e populista sui costi della politica a poter strumentalmente coprire gli squilibri politici e istituzionali, il surrettizio cambiamento della forma di Stato e della forma di Governo, le incoerenze e le numerose complicazioni del procedimento legislativo (basti leggere l’incredibile nuovo art.70), le ripercussioni negative sul sistema delle garanzie costituzionali e dei "pesi e contrappesi”. Garanzie che dovrebbero sempre caratterizzare una autentica democrazia politica e costituzionale, quali erano state delineate dal disegno dei padri (e madri) costituenti nella Costituzione vigente. Qualche settimana fa Renzi ha sentenziato: "In questo referendum si tratta di ridurre le poltrone. Punto!”. Sinceramente mi sono vergognato per lui e anche per i cittadini italiani che sono invitati a votare con questa demagogia.
Per tutti questi motivi, ritengo necessario sostenere il No nel referendum costituzionale. D’altra parte, il Presidente del consiglio Renzi, e con lui la Ministra Boschi, sbagliano radicalmente nel mettere sullo stesso piano l’esito del referendum e le sorti del Governo. Se il Governo dovesse dimettersi, sarebbe per sua autonoma e discutibile scelta, non per la volontà degli elettori, che sono chiamati a pronunciarsi sul merito della riforma costituzionale e non sulla ipotizzata sconfitta del Governo. In ogni caso, se per propria decisione cadesse il Governo Renzi, non ci sarà alcun obbligo o automatismo di scioglimento delle Camere, essendo questa una esclusiva responsabilità del Presidente della Repubblica. Il quale, per dettato costituzionale, dovrà eventualmente o rinviare l’attuale Governo alle Camere o, dopo opportune consultazioni parlamentari, individuare un altro Presidente del consiglio. Se prevarranno i No, è falso inoltre affermare che si chiuderà il capitolo delle riforme. Un capitolo che si potrà invece tempestivamente riaprire già in questa legislatura, sia per quanto riguarda le leggi elettorali per la Camera e il Senato, sia con singole modifiche costituzionali per le parti più largamente condivise. E, nella prossima legislatura, con un Parlamento più democraticamente legittimato rispetto a quello espresso dal "Porcellum”, con la capacità di elaborare una riforma più equilibrata, più condivisa e più largamente partecipata.