"Non essere amati è soltanto cattiva sorte; non amare è una tragedia. Tutti noi oggi stiamo morendo di questa tragedia. La violenza e l’odio infatti dissecano il cuore nel profondo; la lunga lotta per la giustizia estenua l’amore che pure l’aveva ispirata. Nel clamore in cui viviamo, l’amore è impossibile, e la giustizia (da sola) non basta.”
Così possiamo leggere, con straordinaria attualità, in "Les justes” di Albert Camus (1950).
La cronaca degli ultimi tempi ci porta a dover necessariamente rivedere le tematiche sulla situazione della sicurezza personale dei privati cittadini, sull’adeguatezza delle leggi in tema di carcerazione, sulla disponibilità o meno di strutture idonee ad ospitare i detenuti e poi su quel bel concetto che, trasversalmente, riempie la bocca di ogni politico interrogato sull’argomento: la certezza della pena.
"Bisogna essere assolutamente certi che il criminale sia punito!”. È chiaro. Giustamente. Si è commesso un reato, si è trasgredito la norma, si deve pagare la sanzione prevista. Il reato è la violazione di quelle norme giuridiche che disciplinano comportamenti umani, prescrivendo quali siano da tenere e quali da evitare. O meglio, è il venir meno a quel "patto” che consente a ogni gruppo sociale di garantire la propria sopravvivenza, di mantenere un’ordinata, civile e accettabile convivenza. Il reato, quindi, non ha solo una connotazione di cronaca, non deve essere equivocato con la sceneggiatura del palinsesto televisivo, si deve smettere di usarlo come soggetto di improbabili soap-opera portato in scena da ancor più improbabili attor-giornalisti. È la frattura di quel patto sociale a rendere  impossibile la civile convivenza delle persone! C’è una vittima e, la maggior parte delle volte, per fortuna c’è un colpevole (o più colpevoli). C’è dolore, ci sono sentimenti che meritano il rispetto, la delicatezza della discrezione, la pacatezza della comprensione. È doverosa l’informazione, ma attenzione, l’informazione, non la spettacolarizzazione dell’informazione. Nella logica della verità, non in quella del romanzo che possa far presa nella curiosità della gente. Gli "attori”, se vogliamo, della vicenda, non sono personaggi di cellulosa, non sono "marziani” catapultati dall’iperspazio nel tubo catodico o nelle pagine di un giornale. Sono uomini che vivono nella nostra società, nelle nostre città, sono il vicino di casa, l’amico di scuola, il parente, un componente della famiglia. Vittima o colpevole, sono persone che hanno vissuto con noi fino a ieri. Questo non si può e non si deve assolutamente dimenticare o minimizzare. L’emotività nell’amministrazione della sicurezza pubblica, se da un lato può essere comprensibile, dall’altro rende difficile poter stabilire il peso degli avvenimenti, operare serenamente e con efficacia, fornire strumenti adeguati.
In quest’ottica anche la pena assume una connotazione assai più rilevante. Essa non è più solo la giusta sanzione alla trasgressione della norma ma deve costituire il ricongiungimento con la società, la sanificazione di quella frattura del patto sociale di cui prima. La percezione viva di questo processo non deve essere argomento di spettacolo o esaltazione mediatica, ma pacata rielaborazione della coscienza sociale. Soprattutto dovrebbe poter essere avvertita pienamente da tutte le parti in causa, colpevole, vittima, società. Il concetto che così viene a delinearsi è la certezza della rieducazione, non della pena. Ed è propriamente questo che la nostra società oggi dovrebbe pretendere dal sistema giudiziario. La certezza della pena è "la barbarie pre-civile degli Atridi” (Claudio Magris, "Corriere della Sera” 16/12/07). Qualsiasi regime è in grado di adempire in modo scrupoloso alla certezza della pena. A cosa serve, per la società, avere un colpevole che sconta un numero determinato di anni e che quando esce porta con sé un bagaglio d’incomprensione, di pregiudizi, di astio che nella migliore delle ipotesi non lo rendono migliore di quando è entrato?
Che bene ne trae dall’aver annientato un suo individuo e dall’aver additato ed emarginato la sua famiglia (non certo attivamente ma come inevitabile conseguenza dell’attuale cultura della pena)?
Col punto di vista della certezza della pena conviene eliminare il colpevole subito, senza esitazione. Risolviamo prontamente due problemi che ci assillano quotidianamente. "Ripuliamo” le città e "svuotiamo” le carceri.
I "buoni” sono al sicuro e anche Dio può pre ...[continua]

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