14 luglio 1915. A Giovanni Lazzarini
Caro Giovanni,
spedito a parte il vaglia, di cui ti avevo parlato, con mille ringraziamenti per la cura che ti prendi... E adesso che cosa ti racconterò? Niente di nuovo in fondo, e che già non sappiate, più o meno. D’altra parte, se penso a questi dieci giorni da che son partito, mi pare che sia passato qualche mese; tanto son piene e ricche le giornate quassù, piene di cose e di impressioni nuove, che ognuna t’assorbe e ti fa scordare le altre: finché finiscono per sembrarti naturali e consuete, e una nuvola che passa e un raggio di sole che viene a trovarti in fondo alla buca acquista più importanza della pallottola che t’ha sfiorato il collo o dello shrapnel che ti scoppia scrosciando e avvampando sopra la testa: e lo scoppio che rotola via lontano per il cielo pacifico ti pare il più semplice dei rumori. Non parliamo poi della mensa che arriva, o di un po’ d’acqua per lavarti: sono avvenimenti che passano sopra a tutto. Insomma, la solita vita di campo e di trincea: molto meno idillica di quanto la descrivono i giornali, ma pur facile in fondo, e il più del tempo spensierata... Vita monotona - massime in questo luogo e fra questa gente: i nostri soliti romagnoli: - la guerra non cambia né uomini né cose, fuor che in qualche momento -, che ti parrebbe una delusione a guardarla superficialmente. Ma poi senti qualche cosa di più profondo, che trasporta irresistibilmente tutti quanti... Così sto contento al mio posto, senza pensar molto né alle cose lontane che assai probabilmente non vedrò più, né al domani o al temporale che si prepara per stanotte; ma oggi ero a riposo e ho dormito come un signore. Speriamo che presto ci sia qualche cosa di nuovo, e di poterlo raccontare. Intanto ricevi i più affettuosi saluti dal tuo. P.S. - Ricordami agli amici del Circolo.

18 luglio 1915. Alla madre
Cara mamma,
ti scrivo da un altro posto, sempre in seconda linea. Siamo venuti stanotte, abbastanza faticosamente, nel buio denso e sotto la minaccia del temporale, che s’è ridotto a poche gocce. Ora si sta bene; con un po’ di sonno; ma scritte queste righe potrò andare a riposare. Ho ricevuto ieri il pacchetto, che potrà essere molto utile quando incominceranno le vere giornate di marce e di fatica. Per ora, ce la passiamo abbastanza leggermente. Come t’ho scritto, non occorre che tu ti prenda molto pensiero di mandarmi altri oggetti.
Vera necessità non c’è, son piccoli desideri che passano per la testa in certi momenti, e se ne parla più volentieri per avere l’impressione di essere sempre in comunicazione con quelli che qualche altra volta invece sembrano così lontani. Così io non mi trattengo dal seccarti con queste piccolezze, e mi par quasi d’essere ancora a casa; che per tutte le cose piccole e grandi sono avvezzo e chiamar sempre la mia mamma...

Renato Serra, Il senso del silenzio. Ultime lettere,
Esame di coscienza di un letterato,
Fara Editore 1995

Il 20 luglio 1915, Renato Serra rimarrà ucciso in combattimento sul monte Podgora a Gorizia, a soli 31 anni.