Mi è capitato di recente di discutere di mercato del lavoro, di produzione, di crisi, per due sere successive, con un gruppo di ragazzi e ragazze, per lo più operai, alcuni metalmeccanici, dipendenti di filiali di multinazionali tedesche e svizzere, attive nella valle del Vomano, sulle cui montagne sono nato. Nella stessa occasione mi è capitato di rincontrare due vecchi compagni di scuola, ovviamente coetanei, ingegneri come sono stato anch’io, ma rimasti tali fino ad ora, con storie di lavoro molto diverse dalla mia.
Come succede quando si è in un’altra città, fosse anche quella in cui sei stato adolescente, e si guardano le cose dall’esterno, con una discontinuità, ci si accorge di differenze che non si notano nel posto dove vivi sempre, si parla di cose che non si chiedono a quelli che vedi tutti i giorni.

Giovani che sanno cavarsela
Mi ha colpito dei giovani, oltre all’interesse per i problemi, e l’attenzione che ne deriva, la competenza sociale e la mancanza di accanimenti ideologici, anche negli aderenti a definite correnti della sinistra più combattiva. Per decenni siamo stati afflitti da un eccesso di competenza partitica e da una mancanza di informazione e di analisi. Sembra, almeno per quel gruppo lì, che ci sia un nuovo inizio. Si tratta di persone socialmente e sindacalmente attive. Nella fabbrica dove alcuni di loro lavorano hanno fatto uno sciopero di solidarietà per l’assunzione di una diecina di loro compagni precari. Ed effettivamente la direzione li ha assunti. Perché ne aveva bisogno, naturalmente; e perché i precari saranno stati affidabili. Non si tratta di successo della "lotta dura”, contro gli interessi dell’azienda. Solo della esistenza di aziende che non sono in crisi; che volentieri avrebbero continuato a guadagnare qualcosa sulla differenza tra i contributi degli assunti a tempo indeterminato e quelli dei precari ma hanno preferito rispettare la solidarietà tra i dipendenti. Anche nelle vallate del cuneese, dove la disoccupazione è sotto il 4%, oltre alla Ferrero e ai vini, ci sono filiali di aziende metalmeccaniche estere che non hanno nessun bisogno di licenziare. Qualche anno fa mi son trovato a seguire i casi di un operaio metalmeccanico marocchino, molto istruito, che aveva una vertenza per una promozione in ritardo con la direzione della filiale di una multinazionale tedesca, in una valle ai confini della provincia di Cuneo, in area valdese e ho trovato un clima analogo, molto civile. Questo non ha impedito che quel conflitto finisse male -succede. Nella valle del Vomano, purtroppo, non c’è la Ferrero; e i vini, che ci sono, e vendono in mezzo mondo, non hanno il peso di quelli piemontesi. Ma gli operai giovani sono istruiti e svegli. Se il sabato sera gli nomini una fonte reperibile in rete, la domenica sera l’hanno cercata e consultata. Se discuti di problemi anche complessi di mercati e welfare ti rendi conto che sono bene informati; che comunicano con coetanei di altre regioni; che sanno bene cosa succede a nord del Tronto.
Sono abituato, in quella montagna lì, a incontrare persone di più che mezza età, appena meno vecchi di me, praticamente inaffondabili. Tutti un po’ contadini un po’ operai -barot si dice in piemontese- proprietari della casa in cui abitano e che hanno riattato da sé, con figli molto meno inaffondabili di loro, che non sanno più i mestieri, che dipendono dai padri. Un gruppo di "vecchi”, 35 anni fa aveva messo in piedi un ambizioso progetto di riqualificazione di un paese di montagna con attività integrate agro-pastorali, ecologiche, edilizie; e una trattoria. Il progetto nel suo complesso non ha retto. Le attività si sono separate perché si è sfasciata la rete, che per qualcuno era impegno volontario, per altri reddito e carriera. L’allevamento è fallito, perché non si può reggere la concorrenza degli agnelli rumeni. Ma la trattoria è stata un successo, perché lì quelli che sanno cucinare cucinano bene. Si chiamava mandrone la trattoria, che vuol dire il pelandrone, lo scansafatiche -ma loro lavoravano molto e, dopo vari decenni, quando ne hanno avuto abbastanza di friggere e sudare, hanno venduto bene. Anche una ragazza dell’ultimo seminario, di cui sono un po’ parente, stufa di mandare in giro il curriculum con una laurea e attività sociali varie, ha fatto per quattro o cinque anni la pasticcera a Milano ed ora fa la cuoca, con successo, a Civitella del Tronto. E quei giovani operai lì ragionano bene. La vita continua. Buona fortu ...[continua]

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