Anna Barbara, Stefano Mirti, Giulio Padovani, giovani ricercatori e laureandi delle facoltà di architettura di Milano e di Torino sono stati ospiti degli studenti di architettura dell’Università di Pristina, da sempre obbiettivo della repressione serba contro gli albanesi kossovari. Hanno scritto per Una città le loro "impressioni".

Legno lamellare
Siamo invitati alla facoltà di architettura, a vedere i lavori degli studenti. Nel corso di tecnologia ci si occupa di grandi strutture in legno lamellare. I lavori sono spettacolari, tavole bellissime, dettagli, prospettive d’insieme: un progetto per un palazzo dello sport, un concessionario bmw grande come una piazza, ponti dalle campate colossali. Il titolare del corso è molto fiero dei lavori dei suoi studenti, e ne ha ben ragione. Poi però affiorano degli interrogativi, come mai in Kossovo, che non ha certo il legno come prima risorsa, un intero corso si concentra su questa tecnologia e questo materiale? E anche, come mai nessuno di questi progetti ha una precisa collocazione in un luogo, magari Pristina, una sua piazza o il suo mercato? Entrambe le domande non trovano risposta immediata, se non la constatazione che i deliranti meccanismi accademici sono uguali in tutto il mondo. Anche stavolta il progetto di architettura rimane attività onirica depotenziata del suo quantum di rivoluzione, di trasformazione del mondo, di azione concreta di proiezione del reale. Se il presente è ipotecato mi sembra che lo sia anche il futuro.

La seicento
Una cosa brutta che capita nelle nostre città è il progressivo imbruttimento delle automobili che le percorrono. Qui a Pristina c’è un gran via vai di seicento (come in tutta la ex-Jugoslavia del resto). Di mille automobili del nostro passato qui resiste indomita questa, che tra tutte è una delle più belle. La cosa che sembra ancora più straordinaria, è pensare che nel Moma a New York una seicento è imbalsamata in un sofisticato parcheggio, come una specie estinta, memore di chissà quale mondo trascorso, mentre le sorelle beffardamente sfuggite all’estinzione dei paesi del primo mondo circolano ignare e indaffarate per strade periferiche del globo. Lo stesso si può dire dei colori di queste auto, non sono mica quei grigiolini pallidi che la stampa e la cinematografia di quegli anni ci ha tramandato, sono colori vivaci: il rosso è un rosso fuoco, bello, violento. Il blu è un blu cobalto che non ammette repliche, il giallo è un giallo canarino che dalle nostre parti oramai è estinto. Questo tende a confermare una nostra idea: le teorie darwiniane si applicano anche ai colori. Come mai alcuni colori si estinguono? Certi rossi sono scomparsi dai nostri orizzonti, lo stesso dicasi per altre tonalità che ritornano invece nei nostri ricordi d’infanzia. Le automobili sono un indicatore preciso: come mai con il passare degli anni certi colori rimangono, altri si perdono, altri ancora entrano nel nostro immaginario? C’è qualcuno che decide? Si potrebbe fare un museo del colore che preservi la memoria di cromatismi altrimenti destinati a scomparire. E’ ben strano che tutti si preoccupino se si estingue una sottospecie di delfino, mentre la scomparsa di colori meravigliosi passa completamente sotto silenzio. Facciamo qualcosa! Domando a Faton: "Come mai qui non ci sono vespe e lambrette?"- "Beh, devi capire che da noi avere l’automobile è proprio uno status-symbol".

Il colore blu
Rimanendo sempre in tema, un altro fatto interessante è legato alle forze armate serbe. Qualsiasi roba appartenga all’esercito (divise, blindati, automezzi e segnali di identificazione) è di colore blu. Per la precisione possiamo dire che è un blu oltremare abbastanza carico. C’è un libro di Burroughs in cui si invita il lettore a fare questo esercizio: scegliersi un colore e per tutta la giornata sforzarsi di mettere a fuoco gli oggetti di quel colore lì. Qui è l’opposto, non siamo noi a decidere, è quel blu che chiama prepotentemente la nostra attenzione. Entra di continuo nel nostro campo visivo, mette da parte qualsiasi altra cosa, è un pochino pervasivo. Non rimane rumore cromatico di fondo, diventa il cromatismo ricorrente, il rappel à l’ordre, l’attenzione richiamata, ma in un codice a sé. Né i rossi né i verdi, ma i blu. Che strano, lo stesso colore da noi segnala un obbligo, attenzione, non un divieto!

Un mare di vetro
Visita a quelle che erano le facoltà scientifiche. Poi i serbi le hanno occupate per mesi, liberandole sol ...[continua]

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