Pietro Adamo, storico delle idee, si occupa principalmente della cultura politica del protestantesimo e della tradizione libertaria. Fra i suoi libri: Il dio dei blasfemi. Anarchici e libertini nella rivoluzione inglese (ed. Unicopli, 1993); La libertà dei santi. Fallibilismo e tolleranza nella rivoluzione inglese (ed. Franco Angeli, 1998); La città degli idoli. Politica e religione in Inghilterra 1524-1572 (ed. Unicopli, 1999). Ha recentemente curato la pubblicazione di Anarchia e società aperta. Scritti editi e inediti di Camillo Berneri (ed. M&B Publishing, 2001).

Uno dei punti di crisi della sinistra attuale è senza dubbio quello della cultura politica. Tuttavia una recente serie di studi su personaggi come Carlo Rosselli, Andrea Caffi, Francesco Saverio Merlino, Camillo Berneri, Nicola Chiaromonte, per molto tempo tenuti ai margini dalla sinistra stessa perché in vario modo considerati ‘eretici’, fa pensare che siamo all’inizio di una ricerca dopo anni di sostanziale apatia…
Il motivo per cui negli anni ‘90 si sono intensificati gli studi sulle correnti ‘eretiche’ della sinistra (cioè del campo socialista, libertario, liberal-socialista) è da far risalire al crollo del Muro di Berlino e alla fine dell’Unione Sovietica. Dopo quegli eventi, infatti, non c’è più alcuna possibilità di pensare il socialismo in termini marxisti o marxisteggianti, per cui, se non ci si vuole appiattire sul capitalismo attualmente trionfante, è necessario cercare nella storia e nella cultura della sinistra dei ‘padri nobili’, dei primogenitori rispettabili che non siano stati coinvolti con il socialismo di stato in versione totalitaria. Questo è il motivo per cui, a proposito e a sproposito, oggi tutti, da D’Alema a Veltroni a Amato, citano Rosselli, Gobetti o Chiaromonte. Detto questo, tuttavia, bisogna anche aggiungere che sia a livello prettamente teorico sia a livello politico il rifarsi a questi ‘padri nobili’ non implica, né può implicare, un’adesione alle loro indicazioni. Se infatti nelle elaborazioni di Caffi, Chiaromonte, Berneri, Rosselli, eccetera, si volessero trovare delle soluzioni bell’e pronte per i problemi dell’oggi si farebbe un errore clamoroso, si andrebbe fuori bersaglio. Sono infatti passati settant’anni dalle riflessioni e dagli scritti di questi autori, la società è cambiata, l’universo mentale della gente è cambiato, per cui, per fare un esempio, un suggerimento come quello rosselliano circa un’economia ‘a due motori’ -pubblico e privato- presa in sé si rivela semplicistica, già superata dai tempi. In Italia, nel dopoguerra, tale suggerimento venne in parte accolto ed i problemi che oggi dobbiamo affrontare derivano proprio dall’intreccio che si è creato fra i due motori di questa economia: sappiamo bene che essi si sono trasformati da un lato nel protezionismo occulto dell’impresa privata, dall’altro nella crescita esponenziale della burocrazia e dell’intervento statale nell’economia...
La vera ragione per interessarci di questi autori, perciò, non sta tanto nelle loro indicazioni pratiche, quanto nel fatto che rappresentano il tentativo dell’antifascismo radicale di trovare una risposta ai problemi posti dall’ascesa dei totalitarismi continuando a tenere alta la domanda su come sia pensabile e possibile una società libera. Da questo punto di vista questi autori mettono in luce una cultura estremamente ricca, in cui possiamo trovare tantissime cose che si confanno alle nostre aspettative anche se questi settori dell’antifascismo rappresentano un’esperienza ‘saltata’, nel senso che le loro elaborazioni non sono mai entrate non solo nella coscienza politica della nazione, ma neanche nella progettualità di qualche componente politica della sinistra italiana. Per la sinistra l’averli accantonati è stata una grave perdita, perché su molte questioni furono particolarmente acuti e preveggenti. Oggi si parla molto della questione del totalitarismo, ma l’idea che il comunismo fosse un’altra forma di totalitarismo, che fascismo e comunismo fossero due facce della stessa medaglia, nasce proprio in questo ambito, negli anni ‘30.
È un’idea che non nasce con la Arendt, ma dalla cultura politica di questi militanti. In verità, proprio riguardo al dibattito sul totalitarismo, gli italiani hanno avuto un’importanza non da poco ed è forse possibile vedere proprio in loro una delle radici genealogiche del pensiero della Arendt: negli Stati Uniti la Arendt era collaboratrice di Politics, la rivi ...[continua]

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