Pietro Adamo, storico e studioso del pensiero libertario, ha recentemente curato per le edizioni Eleuthera Individuo e comunità, un’antologia di scritti di Paul Goodman.

Da qualche tempo non è raro che, nelle discussioni sulla crisi della sinistra, qualche eterodosso citi il nome del radical americano Paul Goodman…
E’ vero, quello di Goodman è un nome che di tanto in tanto riemerge, ma questo apparire e scomparire sembra far parte della figura di questo pensatore, che anche in vita ebbe una fortuna molto oscillante. Per un lungo periodo, negli anni Quaranta e Cinquanta, fu uno dei tanti critici sociali americani, poco noto al grande pubblico e conosciuto soltato in cerchie ristrette di anarchici, di libertari, di avversari del sistema; poi, nei primissimi anni Sessanta, divenne un pensatore notissimo, continuamente intervistato, uno di quelli a cui i giornali telefonano sempre per chiedere la sua opinione.
In questa veste ha esercitato un’influenza enorme -innanzitutto negli Stati Uniti, ma anche in frange non marginali della "controcultura" europea- su tutto quello che gli anni Sessanta hanno significato. Per buona parte della cultura giovanile, studentesca e non, di matrice libertaria, Goodman era uno dei punti di riferimento essenziali. Ad esempio, una volta Goodman disse che la Dichiarazione di Port Huron, cioè il documento di fondazione degli Students for Democratic Society, la principale organizzazione della protesta nelle università americane, era preso quasi per intero dai suoi libri. Non era vero, almeno in questi termini, però il fatto che lui sostenesse questa tesi dà la misura dell’influenza che esercitava e sapeva di esercitare.
Purtroppo, dopo la sua morte, avvenuta nel 1972 a sessantun anni, la sua lezione è stata per lungo tempo dimenticata. Il primo motivo dell’oblìo in cui Goodman cadde risiede nel fatto che il suo pubblico privilegiato: i giovani, gli studenti, gli attivisti, si indirizzò, dalla fine degli anni Sessanta, sulla strada che poi ha portato al disastro, cioè la strada dell’attivismo politico di segno marxista-leninista, modellato sulle figure di Mao e di Castro.
Goodman sosteneva un impegno libertario, quindi al di fuori delle istituzioni e dei meccanismi della politica ufficiale, "diluito" nel sociale, sperimentale, che cercasse di far crescere i germi di una nuova società senza necessariamente cercare lo scontro frontale con le istituzioni esistenti, mentre la maggioranza dei giovani militanti preferì competere sul mercato della politica cercando, classicamente, di raggiungere il potere.
E’ quello che successe, nello stesso periodo, anche in Italia: la maggior parte dei gruppi di attivisti nati alla fine degli anni Sessanta si trasformò -mi verrebbe da dire "si istituzionalizzò"- in partiti politici, che si presentarono quasi tutti alle elezioni, per cui buona parte dei protagonisti del 1968-69 ha avuto un futuro alla Camera o al Senato.
Il secondo motivo dell’oblìo che circonda Goodman è dovuto al fatto che esprimesse una cultura libertaria derivata da un’interpretazione radicale del liberalismo, presente nella tradizione politica degli Stati Uniti, ma quasi del tutto assente in Europa. In Europa, infatti, gli intellettuali "antagonisti", quelli che cercano un’alternativa al sistema esistente, fanno comunque riferimento, magari anche in negativo, alla tradizione marxista oppure alla tradizione liberale classica. In Italia, per esempio, i punti di riferimento della cultura liberale non sono certamente Gobetti o Rosselli, ma Benedetto Croce, ossia un liberale conservatore quant’altri mai, che ha scoperto la "religione della libertà" nel 1932 e ne ha dato una versione per molti versi estremamente limitata.
All’opposto, Goodman si sforzava di intuire quale potesse essere in ogni contingenza la strada per un costante allargamento e approfondimento della libertà.
Per molti versi esprimeva al meglio il senso della politica libertaria o, meglio ancora, il senso della politica che possono fare i libertari, una politica a tutto campo, ma attiva soprattutto nel sociale e nella politica locale, cioè ad un livello a misura d’uomo. Questo poteva, e può, significare sia l’organizzazione di un gruppo per il recupero dei tossicodipendenti, sia un circolo culturale, sia il picchettaggio dei luoghi "istituzionali", sia la raccolta di firme nel caseggiato in vista di un obbiettivo specifico.
Per Goodman la comunità, cioè l’ambito delle relazioni dirette, è l’orizzonte del ...[continua]

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