Pino Ferraris ha lavorato nell’Ufficio Studi della Cgil, ha collaborato con l’Flm e la Fiom; ha insegnato sociologia all’Università di Camerino. Ha pubblicato, fra l’altro, Domande di oggi al sindacalismo europeo dell’altro ieri, Ediesse, Roma 1992; Osvaldo Gnocchi-Viani, Dieci anni di Camere del lavoro, Ediesse, Roma 1995.

Osvaldo Gnocchi-Viani è stato il fondatore del sindacato italiano. Perché non se ne sente mai parlare e che senso ha, a parte l’aspetto storiografico, riscoprire la sua figura, il suo pensiero e la sua opera?
Uno dei motivi che spingono ad andare a rileggere personaggi in un certo senso dimenticati della storia del socialismo è la sproporzione evidente tra l’importanza, pratica o ideale, che hanno avuto, e il drastico ridimensionamento che hanno subito a livello di elaborazione storiografica. Merlino è uno di questi personaggi dimenticati, pur essendo, dal punto di vista della teoria politica, importantissimo, sia per l’influenza che ebbe nel suo tempo, seppur poco riconosciuta, sia per l’influenza che avrebbe potuto avere per il futuro, se la sua riflessione non fosse stata censurata, obliterata. E direi che Gnocchi-Viani ha la stessa importanza di Merlino, soprattutto dal punto di vista pratico. Ciò che ha fatto Gnocchi-Viani è durato per tutto il ‘900, e lui invece, nel ‘900, non è riuscito neppure a entrarci. E’ Gnocchi-Viani a fondare il sindacalismo italiano negli anni ‘90 dell’‘800, è lui il padre delle Camere del Lavoro e queste rappresentano la peculiarità del sindacato italiano. Lui fondò la Società Umanitaria di Milano e le università popolari, istituzioni importantissime, che ancora esistono; ciononostante diventò uno sconosciuto, del quale, nel ‘900, non è stato pubblicato più niente.
Quindi il primo interrogativo che ci viene spontaneo riguarda proprio l’interpretazione della storia delle idee e anche delle opere della sinistra nel passaggio dall’800 al ‘900: chi erano queste persone e perché furono censurate e dimenticate?
Ma c’è un altro interrogativo che poi si presenta immancabilmente a chi si avvicina a questi personaggi: perché hanno un sapore di attualità che stupisce e meraviglia, pur essendo personaggi ottocenteschi del tutto datati?
Per dare una risposta al primo interrogativo bisogna ricordare che nell’800 il socialismo è stato un grande fattore di pluralismo culturale; c’erano i saintsimoniani, i fourieristi, gli anarchici, i marxisti, i fabiani, i sindacalisti rivoluzionari, c’era una grande effervescenza di idee, di scuole in polemica fra loro, dove, come dice Viani, il contrasto, il pluralismo, erano la ricchezza, erano la dinamicità; poi, a mano a mano che ha preso piede la dottrina di partito, che è sintesi tra idee e organismi politici e d’autorità, in particolare con il marxismo, prima kautskiano e poi leninista, questo grande ventaglio di idee, di correnti di pensiero, si è come infilato in un imbuto, da dove è uscito quello che io chiamo il pensiero unico di sinistra. Il ‘900 ci ha presentato una sorta di pensiero unico di sinistra. Mi sono sempre considerato un marxista eretico, ma occorre ammettere che le eresie in fondo partecipano, servono anche a confermare le ortodossie.
Quando l’imbuto stretto del pensiero unico di sinistra si è rotto, si è corso il rischio di perdere semplicemente il pensiero, tout-court. Oggi non c’è più pensiero, e sembra non ci sia più neppure un passato di pensiero, a meno di non ripartire da quella pluralità, da quella molteplicità ottocentesca.
Gnocchi-Viani è stato censurato, messo ai margini, messo all’indice perché era un eclettico, ma il suo eclettismo era meraviglioso. Lui è passato attraverso il mazzinianesimo, attraverso Proudhon, attraverso Bakunin, attraverso Marx, senza mai appartenere a nessuna di queste correnti. L’ultimo suo scritto è su Saint Simon.
Ecco, questa sua libertà di pensiero provoca in un vecchio militante come me l’impressione di essere vissuto dentro una sorta di gabbia mentale , dove se tu dicevi: “Io la penso così”, ti sentivi dire: “Questo è marxista?”, “c’è la verifica di un ipse dixit?”.
Quindi la prima questione rimane questa: o rinunciamo a pensare, o rinunciamo ad avere un passato di pensiero, oppure dobbiamo reinventare una tradizione, riaprendo quel ventaglio originario di idee e di scuole. E’ finito il marxismo-leninismo, ma non sono finite le idee e ci sono state tante idee vitali e importanti di altro tipo.
Questo per il primo punto. Ma rispetto all’attuali ...[continua]

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