Si continua a parlare di anomalia italiana, facendo paragoni con gli altri paesi industrializzati, si predica l’esigenza di un paese “normale”... Tu cosa ne pensi?
Io non credo che siamo un paese anormale. Non credo che abbiamo delle colpe storiche né che i mali del presente siano figli dei nostri nonni o dei nostri bisnonni. Questa concezione della storia quale responsabile delle nostre cattiverie è la forma principale di deresponsabilizzazione. Quando Gobetti afferma che il fascismo è l’autobiografia della nazione, butta sulla nazione una colpa che è tutta nostra: quella di non aver saputo resistere al fascismo. E’ solo nostra. Oppure quando si dice: “La Costituente ha dato l’Italia in mano ai partiti e i partiti sono diventati corrotti”, non è vero, perché i mostri che sono venuti fuori non sono figli di chi ha scritto 50 anni fa la Costituzione, perché in mezzo, tra la Costituente e oggi, ci sono infiniti impulsi vitali, che vengono da tutte le parti. Noi siamo figli della Costituzione come siamo figli di infinite altre cose. Respingo con la massima forza questo determinismo pessimistico che ci fa trovare delle spiegazioni nel passato lontano: “Perché l’Italia è stata invasa”, ma tutta l’Europa è stata invasa! Quale paese d’Europa non è stato invaso? “L’Italia è un paese cattolico e quindi non ha avuto la rivoluzione capitalistica!”. Ma se il capitalista italiano più moderno di questo secolo è stato Enrico Mattei, che era un cattolico, non certo un protestante!
E così pure sono contro il determinismo ottimistico, lo storicismo, che giustifica tutto. “Il compromesso storico è giustificato dal connubio fra Cavour e Rattazzi”.
Eh no, questo non lo accetto: non posso accettare i fili rossi, per cui dal passato nasce il presente nel bene o nel male. No, non nasce il presente, ci sono mille cose in mezzo. Per questo non condivido la linea gobettiana.
Qualche giorno fa mi è successo di sentirmi fare questi discorsi con riferimento alla Francia. Bene, guardiamo la Francia. Loro hanno tenuto fermi i treni per delle settimane per esigenze di carattere corporativo, per non fare la riforma delle pensioni; noi abbiamo avuto Dini che l’ha fatta con i sindacati senza che si fermassero i treni neanche per un’ora. Ditemi chi è più in gamba, i francesi o noi? Il sindacato che ha portato avanti lo sciopero in Francia era il sindacato che possedeva tutti i posti di comando nella Sicurezza Sociale, Force Ouvrière, per certi versi simile alla Uil italiana, sebbene più forte. Allora, io non mi sento di prendere la Francia come modello, perché questo piccolo episodio dimostra che si possono risolvere i problemi in altro modo: in Italia c’è stato un governo e una classe industriale che hanno accettato di discutere con i sindacati, in Francia no. Con questo, però, non voglio dire che siamo più avanti, ho solo voluto usare un argomento polemico di fronte a quelli che dicono che lo straniero è meglio di noi. Noi non siamo meglio degli altri, ma non siamo nemmeno da buttare via. Pensate cos’eravamo nel ’45 e cosa siamo adesso. Io sono molto polemico verso la società consumistica, ma bisogna anche capire cosa il consumismo ha significato per noi italiani. Ero già molto anziano quando gli operai hanno conquistato l’automobile e voi non avete idea di cos’è stato, non potete saperlo, perché siete troppo giovani. Nessuno ne parla, non c’è nessun trattato di diritto costituzionale che parli del diritto di libertà che i lavoratori hanno conquistato con l’automobile, ottenendo così la loro vittoria sul tempo e sullo spazio: milioni di famiglie hanno improvvisamente avuto la loro vita completamente cambiata. I primi anni 60 sono stati anni straordinari di conquista della libertà. Dopodiché, figuratevi se io, che sono così vecchio e non riesco a camminare sul marciapiede tutto occupato dalle macchine e vedo i bambini nelle carrozzine che si prendono i gas di scarico, amo la società dei consumi! Però, ricordo bene cosa ha voluto dire per milioni di persone e come ha cambiato l’Italia.
Il Partito d’Azione non ha rappresentato un’occasione mancata per laicizzare la società italiana?
Certamente il Partito d’Azione ha fatto sentire con molta forza l’esigenza di una moralità della politica, della rottura della politica come pura tecnica, ma come poteva costruire una dimensione culturale di laicismo che comprendesse tutta la società italiana? Il Partito d’Azione veniva dopo l’esperienza fascista, dopo l’esperienza social-comuni ...[continua]

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