Peter Schneider, scrittore, vive a Berlino. E’ stato uno dei portavoce del movimento degli studenti in Germania nel ’68. Fra i suoi libri ricordiamo: Lenz (Feltrinelli, 1978), Dopo il muro (Sperling & Kupfer, 1992), Papà (e/o, 1988), Accoppiamenti (Garzanti, ’94).

Sembra che la sinistra continui a mancare appuntamenti storici fondamentali. Oggi la Bosnia, ieri l’unificazione tedesca. C’è stato poi un qualche ripensamento?
Non sono affatto tra quelli che dicono che non c’è più differenza tra destra e sinistra e so che quando si parla di multietnicità, di tolleranza, di libertà dell’individuo, tra la destra e la sinistra troviamo ancora differenze che resteranno valide per secoli. Quel che trovo profondamente sbagliato è che una presa di posizione, per esempio, quella che il muro dovesse sparire, sia considerata sbagliata dalla sinistra solo perché sostenuta dalla destra. Penso che un buon 80% delle idee della sinistra siano una reazione a quelle della destra e non siano, per ciò stesso, creative. Per quel che mi riguarda, ho smesso di dire che piove se il mio peggiore nemico, che è la Bild Zeitung, scrive che c’è una giornata di sole. Mi sono abituato ormai a guardare fuori dalla finestra per vedere coi miei occhi che tempo fa.
Riguardo all’unificazione, anch’io ero tra quelli che erano sempre stati contrari. Essere contro l’unificazione, da sempre bandiera della destra, stava nel senso comune della sinistra: bisognava essere solo moderatamente patrioti, per paura della grande Germania, per i sensi di colpa verso il passato nazista. Il muro, si diceva, è la conseguenza storica del fascismo, dobbiamo sopportarlo, è la nostra punizione. E questo lo pensava la sinistra, i verdi, gli intellettuali, Günther Grass, tutti. Almeno fino alla caduta del muro, ma anche dopo. E non ci accorgevamo neanche che il muro era stata la conseguenza non già dell’hitlerismo, ma della guerra fredda, della rissa tra gli alleati.
Io ho cominciato a pormi delle domande dopo che ebbi una disputa, che ho anche descritto in un saggio, con Monica Maron, una mia amica scrittrice di Berlino Est, che, nettamente favorevole all’unificazione, era del tutto incapace di comprendere come io potessi essere contro. “Voi volete -mi disse- perpetuare solamente un privilegio, perché quelli che hanno sofferto di questa divisione sono stati solo i tedeschi dell’Est. Voi avete avuto la fortuna di avere un grande benessere, di godere di una ricchezza enorme”. All’improvviso mi sono accorto che quelli che facevano un discorso moralistico di fatto difendevano solo un privilegio: avevamo lasciato la sofferenza e gli svantaggi agli altri. E tant’è: noi tedeschi dell’Ovest stavamo molto meglio prima dell’unificazione che adesso.
Ma né Grass né i verdi hanno capito la verità di questo ragionamento. Grass mi ha detto addirittura, una volta, che lui non ha mai sbagliato, che si fida del suo intuito. “Se fosse vero -gli ho detto- non avresti imparato mai nulla, perché è dagli errori che si impara”. E così, ora, loro non potendo più essere contrari all’unificazione -sarebbe molto difficile da sostenere- si attestano su una critica dei modi e dei tempi con cui è avvenuta. E naturalmente è vero che molte cose sono state fatte male, ma altre sono state fatte bene e comunque le loro critiche sembrano nascere ancora dal bisogno di giustificare se stessi, di apparire coerenti con le posizioni passate. Sono poco attendibili, perché non hanno gli occhi limpidi, perché non può essere osservatore obiettivo chi è preoccupato di confermare le proprie ipotesi. Ma affrontare gli errori non è un fatto religioso, una specie di pentimento, l’ammonimento di un dio che intima di confessare un peccato. Devi fare questo confronto solo per pulire le tue idee, i tuoi occhi.
Una cosa invece che mi ha sempre fatto molto piacere, e consolato anche, è che ci sono persone che conosco da trent’anni, Daniel Cohn Bendit, Adriano Sofri, Freimut Duve ad Amburgo, Christian Semler, Thomas Schmidt, e un altro era Alex Langer, con le quali in momenti cruciali, come quando è caduto il muro o quando Saddam Hussein ha lanciato i missili su Israele o, ancora, quando è esplosa la cosiddetta guerra civile nell’ex-Jugoslavia -e sappiamo bene che non era guerra civile- senza che ci fosse bisogno di sentirci, ci siamo trovati in sintonia, sulle stesse posizioni, “dalla stessa parte della barricata”. Perché? Perché, credo ci sia una spinta, un piccolo motore morale, non ideologico, che ci ...[continua]

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