Luciano Lanza è capo-redattore del settimanale economico “Il Mondo” e direttore del trimestrale “Volontà - Laboratorio di ricerche anarchiche”.

Dopo la fine dell’Unione Sovietica il capitalismo è rimasto il sistema economico dominante. Eppure anch’esso sembra in crisi...
E’ un dato di fatto che la forma più coerente di realizzazione storica dell’economico è il capitalismo, così come è evidente che la risposta anticapitalista, cioè il comunismo a economia pianificata, centralizzata, ha perso la sua sfida e si è rivelato inferiore all’antagonista che intendeva soppiantare. Va poi anche detto che, pur essendo la forma economica oggi dominante, il capitalismo non è l’unica forma economica esistente, perché c’è una fetta di economia non monetaria che coinvolge gran parte del mondo. D’altra parte anche il capitalismo è cambiato, si è modificato il funzionamento dell’impresa capitalistica. Nel periodo che va dagli anni Trenta, quando questo processo cominciò in America, fino agli anni Settanta, cioè gli anni in cui il cambiamento arrivò a compimento anche in Europa, l’immagine del singolo capitalista fu in gran parte offuscata dall’emergere dei manager (tant’è che già negli anni Trenta Bruno Rizzi e poi James Burnham parlarono di “rivoluzione manageriale” e negli anni Sessanta John Kenneth Galbraith ha introdotto il termine “tecnostruttura”) mentre negli ultimi anni c’è stata una ripresa della figura del capitalista imprenditore, anche se esso non è più il soggetto che determina tutte le decisioni aziendali, ma è diventato l’ultima istanza, quella che definisce gli assetti complessivi, le strategie globali dell’azienda o della multinazionale.
Quando si parla di “crisi del capitalismo” occorre aver presente che la questione con cui oggi il capitalismo deve fare i conti deriva dalla sua apparente vittoria, ed è quella che il filosofo Emanuele Severino definisce come “il crimine” del capitalismo. Severino, che cerca le ragioni della crisi in cui viviamo, intelligentemente rileva come il capitalismo non abbia contraddizioni interne (il modello funziona) e sposta il problema all’esterno del modello stesso: il capitalismo si sta mangiando il pianeta. In questo modo l’elemento di crisi non è più da ricercarsi, come faceva il marxismo, all’interno del meccanismo di funzionamento, che si è rivelato funzionante, ma nelle contraddizioni che genera all’esterno, nel suo mangiare le risorse, nella spoliazione di una parte sempre più consistente del pianeta e nel fatto che non c’è più un mercato sufficientemente ampio in cui il capitalismo possa vendere tutti i suoi prodotti.
Dici che il capitalismo è un meccanismo perfetto, ma dici anche che deve modificarsi perché così non può durare, inoltre non sembra riuscire a dare una immagine unitaria di sé...
Intanto non ho detto che il meccanismo capitalista sia perfetto, ho detto che è un meccanismo che funziona e che non ha contraddizioni interne, e non è neanche vero che non si autorappresenti: il capitalismo non si autorappresenta come sistema chiuso, compiuto, ma come unità di valori che informano un certo tipo di società, in questo senso c’è rappresentazione e c’è identità di intenti fra il capitalismo e i soggetti che credono nel capitalismo. Il fatto che in Unione Sovietica la gente pensasse che con il libero mercato e con il capitalismo sarebbero stati tutti bene e poi si siano trovati male è un altro paio di maniche.
C’è un mito attrattivo e attraente e c’è una realtà che, invece, è più banale e più dura, ma questo non mette minimamente in crisi l’esistenza del capitalismo e il suo funzionamento. Il problema vero, quello su cui dobbiamo interrogarci, è quanti anni avrà ancora il capitalismo come lo conosciamo noi, cioè quel sistema economico che massimizza i proventi e minimizza gli sforzi. Il meccanismo capitalista si sta inceppando per problemi ecologici che non sono interni al capitalismo. E viste queste contraddizioni esterne è forse possibile ipotizzare un capitalismo statico, che non punti più alla massima espansione, che regoli se stesso, e quindi recepisca in parte le regole del suo sconfitto, cioè la pianificazione centralizzata, e prenda atto della profonda contraddizione tra le necessità di espansione e di massimo profitto con le necessità di compatibilità ambientale. Certamente il capitalismo dell’Ottocento non è più il capitalismo odierno, quello dei manager dell’Ibm o della General motors. La distanza che c’è tra il capitalismo di Henry Ford ...[continua]

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