Jean-Philippe Béja, sinologo, politologo esperto del sistema cinese, è direttore di ricerca al Centre National de la Recherche Scientifique. Vive a Parigi.

Per ovvie ragioni, l’ultimo anno è stato caratterizzato da un forte interesse per le questioni cinesi. Per prima cosa, com’è la situazione sanitaria in Cina?
Le mie informazioni sono quasi tutte indirette, perché attualmente in Cina è quasi impossibile andare. Apparentemente la situazione è sotto controllo. Le notizie che ho provengono poi largamente da Pechino, che ha avuto molti meno contagi che altrove. Da questo punto di vista, possiamo già dire che non è vero che il Covid sarà la Chernobyl di Xi Jinping, come si è creduto all’inizio. L’atteggiamento del partito ha suscitato moltissime critiche all’inizio, perché ha impedito la circolazione di informazioni, in particolare di informazioni negative. In seguito alla vicenda dei sanitari che avevano parlato della pandemia e che sono stati messi a tacere dal regime e ancor più dopo la morte di Li Wenliang, il medico che per primo aveva dato l’allarme, la gente ha cominciato a protestare in difesa della libertà d’espressione e contro la dittatura di Xi Jinping.
Questo dimostra che la popolazione non è poi così sottomessa come si pensa e che, quando si presenta l’occasione per rivendicare maggiori libertà, questa volontà si manifesta in tutto il paese. Dopodiché va riconosciuto che sono accadute due cose: un lockdown molto forte per riuscire a circoscrivere la pandemia nello Hubei e il fiasco dei paesi occidentali.
Anche alcuni critici del partito hanno infatti dovuto riconoscere a Xi Jinping di essere stato più bravo degli altri. Alla fine in molti si sono trovati a chiedere agli occidentali: “Perché non siete stati capaci?”.
Questa è pertanto una vittoria di Xi Jinping, la cui legittimazione dopo i fatti di Hong Kong era stata un po’ erosa. Certo, si potrebbe anche essere complottisti, ma non è necessario. Basta vedere com’è stata utilizzata la pandemia a Hong Kong, dove pur con pochissimi casi ogni manifestazione è stata vietata. Il Covid è servito ai potenti di tutto il mondo per impedire alla gente di protestare. Non è necessario credere che tutto ciò facesse parte di un piano, resta il fatto che il risultato è stato questo.
Un altro aspetto preoccupante è il rapporto tra il potere, il governo e le tecnologie di controllo della popolazione.
Il controllo non è una novità in Cina: è sempre stato presente nella vicenda comunista. Sotto Mao c’erano i comitati di quartiere e le unità di lavoro, dove attraverso un dossier tutte le conversazioni venivano annotate ed eri seguito praticamente dalla nascita fino alla morte. Oggi il cosiddetto libretto di residenza permette allo Stato di sapere dove sei e anche di mandarti in esilio nelle campagne… Questo per dire che già prima dell’informatica il controllo del partito era molto forte: dallo Stato non si può scappare. L’intelligenza artificiale ha permesso di realizzarlo in maniera diciamo più indolore. Il simbolo di questa svolta, ancora più delle telecamere a riconoscimento facciale, è lo smartphone: adesso in Cina si fa tutto al cellulare, i contanti in alcune zone sono quasi spariti. Alibaba e Tencent, che hanno implementato i pagamenti elettronici, sanno tutto quello che fai. E la relazione tra le grandi imprese di internet e lo Stato, come abbiamo visto nel caso di Jack Ma, il fondatore del colosso Alibaba, che sembrava ormai essere più potente del partito, resta comunque di sottomissione: se il partito lo decide può far sparire anche il più grande imprenditore cinese. Quindi possiamo dire che neanche le grandi compagnie possono resistere allo Stato, figuriamoci la gente normale. Tutti ormai cedono a questa sorta di “servitù volontaria”: è comodo usare il telefono per fare qualsiasi cosa, quindi la gente lo usa. Sicuramente peggiore delle telecamere è il sistema del “credito sociale”: su questo sono state scritte molte cose. Non siamo ancora al Grande Fratello, perché il sistema non è centralizzato, ma potrebbe diventarlo presto. Già oggi avere un credito sociale basso implica non poter comprare biglietti aerei o dell’alta velocità in prima classe.
Teniamo però presente che in Cina la confusione è all’ordine del giorno: anche sotto Mao, del resto, era possibile scappare all’estero. Ci sono interessi diversi sottesi alle burocrazie, in questo quella cinese non è diversa dalle altre, quindi restano dei varchi. A livello distrettuale, ad es ...[continua]

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