Marco Cappato, dell’Associazione Luca Coscioni, è promotore del Congresso mondiale per la libertà di ricerca e della campagna Eutanasia legale.

La politica italiana ricorre alla narrazione, spesso all’affabulazione. Perché secondo lei fa così scarsamente ricorso al dato scientifico?
Raccogliere consenso e ricercare la realtà dei fatti sono attività e obiettivi distinti, a volte persino contrapposti. Dire la verità può far perdere voti, fare promesse campate per aria o usare la paura e la diffidenza nei confronti dell’innovazione ne può farne guadagnare. Ciò che in Italia manca -ma non è un problema solo italiano- è uno sforzo continuo per alimentare il discorso politico di una approfondita conoscenza scientifica, senza confondere i piani, che restano diversi.
Abbiamo affrontato una pandemia, siamo in emergenza da un anno. Eppure abbiamo visto molta, direi troppa incertezza: organismi nel pallone, scienziati che si contraddicono a vicenda, la mancanza assoluta di protocolli standard per la profilassi, per le terapie, per i vaccini... Quanto ha pesato questa mentalità sull’organizzazione del contrasto al Covid?
Dall’oggi al domani siamo passati da una diffidenza assoluta nei confronti degli scienziati (in base alla quale in tv parla l’uomo di spettacolo sui vaccini, il cuoco sugli Ogm e via discorrendo) a una sacralizzazione della figura dello scienziato, che è cosa ben diversa dal rispetto per il metodo scientifico. Gli scienziati sono comunque persone, con i propri interessi, debolezze umane, orientamenti politici. La logica italiana del salotto televisivo ha cercato di trasformarli -a tratti riuscendoci- in politici di fatto, da ospitare sulla base della loro contrapposizione, che fa più audience. Il dovere del servizio pubblico dell’informazione radiotelevisiva e in Rete sarebbe invece stato di effettuare comunicazione semplificata almeno sulle acquisizioni scientifiche sulle quali vi è ampio consenso. Il fatto che ci siano margini di disaccordo su un oggetto di studio così nuovo è inevitabile e anche giusto, perché la ricerca procede per prove ed errori. Cercare sempre e comunque la verità assoluta è un modo di umiliare la scienza, anche quando lo si pretende di fare nel nome della scienza stessa. Mettere sullo stesso piano i risultati di ricerche scientifiche e le opinioni personali è un altro modo.
Per ovviare alla palese impreparazione della classe politica, si sono nominate pletore di esperti: tecnici, scienziati, economisti; il Cts, quelli di Colao, quelli per l’istruzione... Poi però i risultati del lavoro degli esperti non si vedono e il boccino torna alla politica.
Il problema non riguarda solo il rapporto tra scienza e politica, ma anche la questione democrazia. Si è affermata, al Governo centrale ma anche nelle Regioni, l’istintiva reazione in base alla quale l’emergenza chiede poteri emergenziali, segretezza, verticalizzazione delle decisioni. Ovviamente di fronte a problemi urgenti e imprevedibili un potere decisionale immediato è indispensabile. Ma la conseguenza in Italia è stata la marginalizzazione non solo dei parlamenti, ma anche degli strumenti di partecipazione civica previsti dalla Costituzione. I Dpcm esautorano il parlamento anche quando non strettamente indispensabile, gli accessi agli atti sono stati sospesi per mesi, la legge di Bilancio è stata approvata senza che un ramo del parlamento potesse modificarla; da quasi un anno è di fatto vietato raccogliere firme su referendum e leggi popolari. I tecnici e i comitati tecnici sarebbero fondamentali se fossero usati per istruire i problemi, fornire possibili soluzioni alternative e misurare i risultati dei provvedimenti attuati. Se invece sono usati per comprimere il dibattito pubblico e marginalizzare la democrazia il risultato è pessimo.
La scienza può contribuire in modo costruttivo al dibattito pubblico e alle decisioni della politica?
Un dibattito pubblico che prescinda dal metodo scientifico può solo generare mostri. Gli ambiti devono restare distinti: ci sono valutazioni morali, economiche e sociali che non dipendono dalla scienza, e che richiedono decisioni politiche. Non è lo scienziato che deve dire se proibire o come regolare la sperimentazione animale, gli ogm, le droghe, l’eutanasia, l’aborto, la gestazione per altri, il nucleare, l’intelligenza artificiale, la ricerca sulle staminali; e nemmeno come governare i cambiamenti climatici, una pandemia, i vaccini, il 5G. Ma è soltanto il metodo scientific ...[continua]

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