Ylenia Mazza, psicologa, è specializzata in formazione e orientamento al lavoro.

Vorremmo parlare con te dei problemi che incontrano le persone che vogliono rientrare nel mercato del lavoro dopo lunghi periodi di disoccupazione.
Parto dalla mia esperienza. Ormai tre anni fa, insieme a due colleghi, abbiamo proposto al Comune di Buccinasco,  in provincia di Milano, un progetto di accompagnamento delle persone rimaste fuori dal mercato del lavoro. In particolare ci volevamo focalizzare su un problema che solitamente non è così affrontato dai professionisti che si occupano di quest’ambito e cioè la solitudine legata alla perdita del lavoro. L’idea quindi era di affrontare, non solo la perdita del lavoro come situazione economica da arginare in fretta, ma anche il vissuto emotivo e relazionale dei disoccupati di lungo corso. La prima cosa da dire è che chi perde il lavoro vive uno stato emotivo, psicologico simile, per sintomatologia, a una depressione maggiore. La persona che perde il lavoro perde infatti una parte di sé, perché il lavoro è un forte e potente organizzatore della vita sociale ed emotiva, quindi dell’identità di ciascuno di noi. Noi tutti ci svegliamo la mattina, ci alziamo, ci prepariamo perché abbiamo dei compiti che ci aspettano, abbiamo delle persone da incontrare, con cui collaborare; nel posto di lavoro trascorriamo la maggior parte della nostra giornata. Nel nostro lavoro mettiamo in campo la nostra professionalità, le nostre competenze. Quando perdi il lavoro, viene improvvisamente a mancare tutto il pezzo che abbiamo descritto. La persona non si trova solo senza lavoro, ma anche quasi senza un’identità, che è strettamente collegata con la sua autostima. Tipicamente sopravvengono anche sensi di colpa; alcuni attribuiscono l’intera responsabilità a se stessi, altri all’azienda. Chiunque perda il lavoro passa attraverso questo vissuto che può aggravarsi se non si trova una nuova occupazione in un tempo breve e ragionevole. Tanto più è prolungato il periodo di disoccupazione tanto più la persona sprofonda in uno stato di desolazione, soprattutto se rimane sola. Parliamo di un disagio che, se non viene preso in carico da qualcuno, un gruppo di mutuo aiuto, un’equipe di professionisti, un esperto di reinserimento lavorativo, può diventare anche autosabotante.
Dicevi che uno dei problemi più gravi di chi rimane fuori dal mercato del lavoro è la solitudine, l’isolamento...

Quello che succede in questi casi è che la persona comincia gradualmente a ritirarsi dalla vita sociale, per senso di vergogna, sfiducia, scarsa autostima, paura di essere giudicati. Ci si allontana dagli ex colleghi, dagli amici, persino dai familiari; un ritiro sociale che ovviamente non favorisce il reinserimento. Molte persone si vergognano di chiedere aiuto alla rete delle persone che hanno attorno; esitano a proporre autocandidature a enti, associazioni, realtà lavorative, sottraendosi così alla più classica ed efficace modalità di reinserimento lavorativo nel nostro paese, il cosiddetto passaparola. Nei gruppi in cui abbiamo lavorato, ci siamo soffermati su questo aspetto: molti vivono il passaparola come una “raccomandazione”, quindi come qualcosa di negativo e non come un semplice riconoscere i meriti delle persone conosciute, come una segnalazione che poi andrà comunque vagliata. Questo ritiro dalla vita sociale finisce non solo per sabotare la ricerca di una nuova occupazione, ma anche per innescare una spirale negativa, in cui si rafforza il senso di sfiducia verso di sé, perché poi i mesi, gli anni passano… e anche la speranza viene meno.
Puoi raccontare come funzionano i gruppi di mutuo aiuto?

A Buccinasco, accanto a un ciclo di incontri di gruppo, era previsto anche un sostegno individuale, in cui si è cercato di costruire il cosiddetto “bilancio di competenze”, sempre nell’ottica di una “riattivazione” personale nella ricerca del lavoro. Il gruppo era piuttosto eterogeneo, era composto all’incirca da metà uomini e metà donne, di età compresa tra i 30 e i 55 anni, di estrazione sociale diversa, con pregresse posizioni lavorative molto differenti, da babysitter a manager. C’erano infatti un paio di manager di aziende del settore metalmeccanico, ma anche degli operai, alcuni vicini alla pensione, altri più giovani. Un gruppo quindi estremamente vario. Questa è stata una scommessa, ma anche una scelta. Noi l’abbiamo fatto con cognizione di causa. In quella prima fase il nostro obiettivo non er ...[continua]


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