Cosa sono le classi "inversé”?
La classe "invertita”, capovolta, è una pratica pedagogica che cerca di affidare all’autonomia dello studente una parte dell’attività di trasmissione del sapere ponendola fuori dalla classe (di solito sotto forma di video da guardare a casa), così da dedicare il tempo trascorso in classe ad attività di gruppo e a un sostegno individualizzato. Le classi capovolte sono nate negli Stati Uniti. In Francia la prima volta che ne ho sentito parlare è stato tre anni fa. Mi sono incuriosita e ho cercato di saperne di più. Siccome da tempo sentivo il bisogno di avere tempo in classe per fare altre cose mi sono detta: proviamo. Ne ho prima discusso con il direttore della scuola. Dopodiché, all’incontro di inizio anno ho spiegato ai genitori come avrebbe funzionato. In Francia quando ho cominciato ero veramente fra i primi. Nella mia materia, fisica, eravamo in tre, poi il numero è cresciuto. Da due anni esiste anche un’associazione che si chiama "Inversons la classe” che ha messo gli insegnanti in rete. Nel 2015 hanno organizzato il primo congresso che ha visto partecipare circa duecento insegnanti; quest’anno c’erano circa ottocento persone. C’erano anche insegnanti italiani.
Si stima che oggi in Francia siano più di un migliaio gli insegnanti che adottano la classe capovolta almeno una volta all’anno. È difficile avere delle stime precise perché molti lo fanno da soli nella loro classe.
Devo dire che il mio non è stato l’approccio classico. I professori spesso sperimentano questa modalità per stimolare la motivazione degli studenti. L’approccio tradizionale, la lezione frontale infatti rischia di non andare in profondità: il ragazzo sta in classe, ascolta ma non apprende. Per alcuni insegnanti si tratta anche di andare incontro a un problema di uguaglianza. I compiti per casa infatti rischiano di aumentare le differenze. In questi pochi anni abbiamo potuto constatare che con le classi capovolte gli allievi dal rendimento meno soddisfacente progrediscono di più. Fare gli esercizi per uno studente che non ha una famiglia che lo segue, può essere complicato, perché magari non ha capito la lezione, non sa applicarla, stabilire dei nessi. Paradossalmente quello che si fa in classe è più facile. L’idea allora è di fare l’inverso: a casa gli si chiede di fare cose semplici, vedere un video, ricopiare una definizione, mentre in classe si fanno le cose complicate. In questo modo i ragazzini che al pomeriggio sono a casa da soli non vengono penalizzati.
Tu come organizzi le lezioni?
Io ho un rapporto particolare con la scuola. Sono molto lontana dallo schema classico. Per me gli allievi devono poter fare quello che vogliono quando vogliono. Se desiderano procedere più speditamente propongo del lavoro ulteriore da fare a casa, se non vogliono, non sono obbligati. Anche in classe il tempo è libero, non sono costretti a lavorare se non vogliono. Bisogna anche mettere gli allievi in condizione di apprendere quando sono più efficaci. Per esempio quando ho un’ora di scuola dalle 13 alle 14, in cui praticamente dormono, è inutile cercare di fargli fare cose impegnative, invece a metà mattina è il momento ideale per lavorare.
Il mio approccio è molto libero. Anche rispetto ai telefonini: esistono regolamenti scolastici molto rigidi che ne consentono l’uso solo durante la ricreazione. La maggior parte dei prof confisca gli smartphone. Nella comunità delle classi invertite i telefoni invece sono molto utilizzati, sono uno strumento di lavoro e devo dire che, a parte qualche caso molto raro, non abbiamo mai avuto problemi. Ormai dai quattordici anni hanno tutti un telefono cellulare, allora io dico: usiamolo! Per esempio, se un ragazzino non ha capito un concetto, posso dirgli: "Prova a guardare il video che ho caricato su youtube, vedi se ti aiuta...”.
Per me la cosa più importante è responsabilizzarli. Io, per esempio, gli chiedo che cosa vogliono fare nei successivi quindici giorni: "Decidete su quale nozione volete lavorare e poi vi organizzate come preferite”, dopodiché possono vedere dei video, approfondire su internet, sui libri, l’importante è che il lavoro sia fatto. È un modo per dargli fiducia. Io sono lì per vegliare c ...[continua]
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