Paolo Perticari insegna Pedagogia generale e Filosofia della formazione all’Università degli Studi di Bergamo. Il libro di cui si parla nell’intervista è Pedagogia Nera. Fonti storiche dell’educazione civile (a cura di Paolo Perticari), Katharina Rutschky, Mimesis, 2015.

La prima domanda è: che cosa significa "pedagogia nera”?
La pedagogia nera è una realtà piuttosto subdola, vischiosa, di cui non si colgono bene i contorni. Di sicuro non si sta parlando di pedagogia come di solito la si intende, cioè come forma di intervento positivo, costruttivo. Si sta parlando di vita, io credo, e nello specifico di ciò che distrugge la vita, cioè di processi distruttivi e a volte anche autodistruttivi. Si parla di inconscio e di rimosso, di nevrosi e di psicosi, di neuroni e di coazioni a ripetere, atti malvagi. Parliamo di violenza, di un male indecifrabile, di cui si ha però la possibilità di vedere gli effetti. Purtroppo quando si capisce che cos’è, è già molto tardi: c’è infatti il rischio che questo male si sia installato in un organismo sano molto in profondità, che può essere in una persona, ma può anche essere una realtà sociale, come la famiglia o una collettività. Le conseguenze di questo male indecifrabile sono gravi sempre per la vita umana e qualche volta diventano incurabili.
Quando parliamo di pedagogia nera parliamo di bambini, e della violenza loro inferta, che può condizionare pesantemente la loro vita. Non è detto che un bambino che subisce la pedagogia nera diventi una persona con disagio mentale, disturbata; proprio in virtù di questa esperienza, potrebbe essersi fatto la pelle più dura e quindi diventare una persona che ottiene dei successi. E tuttavia, una volta che a un bambino è stata spezzata l’anima, la personalità, il suo sé nel profondo, questo tende a lasciare una traccia che prima o poi si manifesta, magari anche molti anni dopo. Dunque la pedagogia nera è questa realtà di violenza e di abuso sui bambini che avviene perlopiù nei contesti familiari, inter-parentali, quando le porte di casa si chiudono. Può succedere che questa pedagogia venga esercitata anche fuori, nella scuola, nell’extra-scuola, ma in realtà la zona dell’abuso infantile riguarda la rete parentale.
Non stiamo parlando solo di violenza fisica...
No, non stiamo parlando solo di violenza fisica. Quest’ultima però non va sottovalutata, perché si tende a pensare sia tramontata, invece non è così. Una banale sculacciata in fin dei conti può essere il primo passo verso il male. Il libro di Katharina Rutschky è una summa di citazioni, anche nel senso beniaminiano del termine. Rutschky propone brani tratti da manuali, testi di teoria pedagogica, breviari, libri di esperienza, strumenti educazionali, scritti nell’arco di un periodo che va dal Diciottesimo secolo fino ai primi anni del Ventesimo secolo. Da tutti questi testi di educazione emerge una forma di male su cui non si è ancora adeguatamente riflettuto dentro la cosiddetta Europa borghese e civile. Ci sono anche testi progressisti, ma poterli leggere tutti insieme in questa chiave ci consente di intravedere una forma di orrore vero e proprio.
La pedagogia nera è una forma mentale, estetica, civile, politica, teologica. È un tema destinato a non passare facilmente. Esso implica la trasformazione continua del rapporto genitori-figli, ma anche insegnanti-studenti, molto lontana, distante dallo stereotipo dell’infanzia come il periodo più felice, gioioso e spensierato. Fin da subito, anche le relazioni affettivamente meglio strutturate si ammalano di questa cifra del potere sovrano, del comando supremo, dell’obbedienza assoluta. Un’obbedienza da ottenere appunto attraverso la forza, che un corpo più massiccio, più grande impone su un altro corpo decisamente più indifeso, più piccolo, con la violenza sia fisica sia psicologica. Ecco, la pedagogia nera di Katharina Rutschky dà una definizione a mio parere molto precisa a tutta questa magmatica serie di sgradevolezze, incidenti, orrori, disastri, mostruosità, aberrazioni, violenze, piccole e grandi catastrofi che possono accadere nella vita di un bambino.
Colpisce come alcuni temi potrebbero essere declinati anche in positivo. Rutschky parla ad esempio dell’addestramento alla catastrofe, cioè dell’educare un bambino a saper affrontare anche gli eventi avversi.
Il "detto” sembra buono, ma non lo è. Il vero punto, però, è il "non detto”. La pedagogia nera è qualcosa che si fa, ma non si dice. Gli autor ...[continua]

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