Claudio Negro è segretario della Uil Milano e Lombardia; ha un blog: blog.libero.it/claudionegro/. Sergio Bevilacqua, consulente e socio Slo, si occupa di politiche del lavoro e consulenza strategica e organizzativa ai servizi per l’impiego e agli enti locali; il suo blog è: slosrl.wordpress.com.

Il tema è quello della crisi e delle politiche del lavoro, sia quelle passive, cioè gli ammortizzatori, ma soprattutto quelle attive.
Sergio Bevilacqua. Partirei dallo scenario e dagli aspetti positivi e negativi. Quelli negativi sono noti: scarse risorse economiche, utenza in crescita elevatissima, drammatizzazione delle dinamiche legate alla ricerca del lavoro, ma soprattutto una visione prevalentemente assistenzialista e che utilizza categorie fordiste, considerando quindi quasi esclusivamente il lavoro dipendente, tendenzialmente della grande fabbrica. La Regione stessa, nel suo documento di programmazione, fa fatica a uscire dalle categorie fordiste. Poi, però, ci sono anche aspetti positivi: come un’autonomia imprevista e incredibile dei tecnici rispetto ai politici. Per esempio, nelle province, che gestiscono gran parte degli strumenti di politiche attive del lavoro, da qui a dicembre si va delineando uno scenario per cui, andando a decadere le amministrazioni politiche, i tecnici si troveranno con una clamorosa autonomia.
Va anche riconosciuto che in questa fase gli stakeholder, quindi organizzazioni sindacali, datoriali, ma anche professionali, hanno una maggiore propensione, mi sembra, verso approcci pragmatici e un certo spirito di collaborazione. Questo apre a delle opportunità inedite. Purtroppo, nonostante la presenza anche di elementi positivi, nell’ambiente delle politiche attive del lavoro prevale un atteggiamento depressivo.
Partirei dall’approccio prevalentemente assistenziale, che fa un po’ a pugni con quello che dovrebbe essere lo spirito delle politiche attive del lavoro che, come dice la parola, dovrebbero appunto essere attive. Il sindacato, da questo punto di vista, fa fatica...
Negro. È un problema culturale. Facciamo un po’ di storia. Negli anni Settanta, e anche nei primi anni Ottanta, gli anni ruggenti del sindacalismo, la filosofia che dominava era, per capirci, quella del collocamento numerico. Allora, il collocamento era monopolio pubblico ed era rigorosamente numerico, perché "l’odiato capitalista” non doveva essere messo in condizione di scegliersi il lavoratore, ma doveva prendersi quello che c’era. Questo era l’approccio culturale.
Nella storia delle relazioni industriali, questo è stato un modo di sindacare, per l’appunto, la forza lavoro e mettere l’organizzazione dei lavoratori in grado di contrattare con più forza rispetto al datore. Tale sistema poteva funzionare nel modello fordista-taylorista, ma a partire dagli anni Ottanta è entrato in crisi. Tuttavia, questa consapevolezza, cioè che sono cambiati i punti di riferimento e il contesto, nella testa dei sindacalisti fa fatica a entrare. E infatti noi abbiamo avuto resistenze epiche, prima sul collocamento numerico, poi sul monopolio pubblico del collocamento, sui contratti a termine, sui contratti di somministrazione... che, ovviamente, erano vincoli, ridotte e fortini che venivano regolarmente aggirati grazie alla possibilità di impiegare normative flessibili, come i co.co.co, che esistono dal 1959 nel codice civile ed erano stati pensati per gli amministratori e invece, poi, sono stati utilizzati per ben altri scopi.
Comunque, in questa visione, il riflesso pavloviano del sindacalista è sempre stato: quando il lavoratore perde il lavoro, o comunque quando c’è un calo, quello a cui io devo pensare è la tutela del reddito.
Perché poi, a tutto il resto, ci deve pensare il Centro per l’impiego, il meccanismo della chiamata numerica, eccetera. E quindi, nel corso degli anni, abbiamo sviluppato un sistema di ammortizzatori sociali che, devo dire la verità, funziona abbastanza bene. Con due caratteristiche però: la prima, come già accennato, è che si tratta di un sistema molto sbilanciato sulla conservazione del posto di lavoro. Il che, per un verso, è un bene: la tipica azienda che, in questo periodo di crisi, lavora poco, grazie alla cassa integrazione è riuscita a mantenere il rapporto con i propri lavoratori, quindi con le professionalità di cui ha bisogno, eccetera, eccetera. In altri contesti, probabilmente, il rapporto di lavoro si sarebbe interrotto. Questo è un aspetto positivo. Il rovescio della ...[continua]

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