Mariana Gheorghe, 35 anni, vive e lavora a Milano.

Mi piacciono le navi, più grosse sono più mi piacciono, per questo ho fatto il liceo meccanico navale, a Costanza, la mia città. Poi però avrei potuto lavorare solo a terra, nel porto a comandare le mosche...
Finita la scuola ti davano un foglio per presentarti in un posto di lavoro, tu provavi e poi potevi accettare o rifiutare, il lavoro c’era per tutti, bastava volerlo... o fare finta. Come quando eravamo 5 impiegati per provvedere agli stipendi di 40 operai; anche facendo tutti i conti a mano in due giorni il lavoro era finito. Allora giocavamo a yan tsé, coi dadi, e se arrivava qualche operaio, nascondevamo tutto.

La mia è una famiglia normale. Mio padre era autista, che da noi è una professione, c’è persino una scuola apposita, mia madre invece è sarta e mia sorella ragioniera. Lavoravamo tutti e quattro, nei negozi però non si trovava niente, tutto quello che mi serviva lo ordinavo ai marinai. Anche adesso, se mi serve qualcosa di speciale vado al porto, perché al mercato di Costanza si trova solo roba cinese, che non vale niente, o turca, perché costa poco. Sotto Ceausescu i marinai erano davvero ricchi, viaggiando all’estero venivano pagati in dollari, poi, tornati in Romania, avevano dei buoni per acquistare in negozi riservati; comunque il grosso lo spendevano all’estero. Portavano jeans, sigarette, caffé, shampo, matite, rossetti. Scadenti o no, li pagavamo l’ira di dio, tanto non avevamo dove altro spendere. La spesa si faceva in nero... A fare la fila ci sono stata solo una volta in vita mia, io e la mamma, tre giorni e due notti per accaparrarci tre galline congelate e nere. A un certo punto avremmo anche rinunciato ma non si poteva più lasciare il posto. Alla fine le abbiamo buttate. In nero trovavi tutto, certo, ma non potevi prendere mezzo chilo di carne, dovevi prenderne 10 o 20 chili, insomma, tutti avevamo i congelatori.

La cosiddetta rivoluzione a Costanza è consistita in qualche sparo; io sono uscita a vedere ma non si è ben capito chi ha sparato, hanno detto persino che siano stati degli arabi. Dopo, la mia vita è cambiata, ho cominciato a pensare che volevo più cose, ad esempio una casa. Mia sorella si era sposata e io vivevo coi miei, così ho deciso di comprare il nostro appartamento.
Intanto tutto peggiorava, non per colpa dei governi, quelli mica possono fare più di tanto, è il popolo che deve cambiare. Ceausescu ci trattava come bambini, tu non dovevi preoccuparti di niente tranne che di ubbidire. Volevi il lavoro? Ecco un posto per te, poi lavoravi o no, ma eri assunto, avevi una paga. Molti di quei posti erano un’invenzione e infatti adesso sono spariti. La casa adesso non te la dà più nessuno, allora invece ne costruivano di continuo, anche per creare lavoro. E poi almeno un minimo di uguaglianza andava salvaguardato, così, dato che i poveri sono sempre esistiti, per evitare differenze si era deciso che dovevano andare tutti in affitto. Una nazione di inquilini.

Quando ho comprato la casa lavoravo da poco in una ditta di forniture per le edicole (giornale, saponi, acqua, profumi), avevo lasciato il magazzino di frutta al porto perché soffrivo, la nave era lì, accanto a me e io non potevo neanche salire, dovevo aspettare che scaricasse, fare la bolla, e basta. Guadagnavo bene, 70.000 lei, la mia parte dei soldi per la casa l’ho risparmiata in sei mesi, mio padre invece con 42 anni di servizio arrivava a 30.000 lei. Certo, il mio era un lavoro usurante, stavo sempre al freddo per consentire la conservazione della frutta, se marciva ne rispondevo io. Ma ero troppo vicina alle navi ... Pur di stare su una nave mi adatterei a fare di tutto. Non è l’idea del viaggio, è proprio lo stare in mare, viaggiare lo puoi fare sempre, vivere in una nave no, è come una famiglia enorme, quando sei in mezzo al mare non puoi pensare solo per te. Ho molti amici marinai, quando vengono in Italia mi chiamano. Stare in un ambiente di soli uomini non mi spaventa, anzi, io ho lavorato nei cantieri come saldatrice e non ricordo di essere mai stata trattata così bene. Avevo colleghi di tutte le parti d’Italia, lavoravamo al nord, Torino, Alessandria, Firenze, Bologna. Facevo impianti elettrici e sanitari, nel primo cantiere ha fatto il teleriscaldamento di Torino, sono stati loro a insegnarmi tutto.

In Italia io non volevo venirci, ha fatto tutto mia madre. Aveva letto sul giornale l’annuncio di un italiano che ...[continua]

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