Cari amici,
per qualche ragione, sono riuscita a perdermi la visita di Doctor Who. A regalarci un’esperienza totalizzante, sono arrivate diverse nuove incarnazioni dell’invenzione televisiva britannica che, in quanto a successo, non ha rivali. La serie televisiva Doctor Who, originariamente destinata ai più piccoli, venne trasmessa per la prima volta un sabato pomeriggio e, da allora, è andata trasformandosi in un programma che spazia oltre i confini di classe ed età. Il Tardis, la nota cabina telefonica blu della polizia che sfreccia attraverso il tempo e lo spazio, ha lasciato uscire, all’atterraggio, nuovi attori che si sono cimentati nel ruolo del Dottore e una sfilza di nuovi nemici alieni. Questa invasione degli schermi è un tripudio di reinvenzione e fa parte della grandiosa campagna pubblicitaria per il cinquantesimo anniversario della nascita della serie, che io considero non un semplice programma, ma un desiderio collettivo. Era il 1963 quando Doctor Who fece la sua comparsa in tv con la sua musica cupa e ammaliante e con la sue sinuose immagini di buchi neri e stelle cadenti. Il 23 novembre, in occasione dell’anniversario della serie, in 75 Paesi sarà trasmesso un episodio speciale con gli ultimi due Dottori: Matt Smith e David Tennant. Dopo quest’episodio, la successiva incarnazione del Dottore verrà lanciata sui nostri schermi con le sembianze di Peter Capaldi. Si tratta di un ritorno verso un personaggio più maturo e tuttavia ancora da collaudare; sebbene la scelta non mi entusiasmi troppo, si tratta pur sempre di un attore solido. Chissà come porterà avanti la dinastia. È questo uno dei migliori trucchi della serie: un continuo rigenerarsi del protagonista, affinché chiunque possa avere il suo Dottore preferito. In passato, il mio è stato Peter Davison: un dottore straordinariamente compassionevole, con il ciuffo biondo e abiti che ricordavano le divise da cricket. Oggi, tra i dottori della nuova stirpe, prediligo senza dubbio David Tennant, l’uomo dalle mille sfaccettature. Tennant è stato in grado di dotare il suo personaggio di una complessità emozionale che era assente nella prova scanzonata del giovane Matt Smith. Il momento della rivelazione del nuovo Dottore è stato un evento televisivo nazionale seguito da milioni di persone. La gente ha riservato il proprio posto davanti al piccolo schermo con una settimana di anticipo. Quello del Doctor Who è uno dei ruoli più ambiti della fiction televisiva, e l’identità di colui che otterrà la parte è di vitale importanza per la sopravvivenza della serie. È come una sottofondo culturale che fa da accompagnamento alle nostre vite. I nostri politici potranno anche deluderci, la situazione degli impieghi essere grigia come il fango dei canali, le nostre relazioni spegnersi e riaccendersi, ma il Dottore, Doctor Who, non ci tradirà mai; accorrerà in nostro aiuto e sarà sempre presente nel momento del bisogno con la sua complessità, la sua vulnerabilità, la sua solitudine.
Agli albori della serie, all’epoca in bianco e nero, i dottori erano impersonati da attori più anziani che conferivano loro un’aura solenne; un tratto che, si dice, Capaldi restituirà al personaggio. Gli alieni riflettevano la reale paura dell’invasione: mostri marini vestiti di alghe che emergevano su spiagge brulle, o gli inimitabili Dalek, che si spostavano nelle loro divise di metallo sfiorando il suolo e rappresentavano una minaccia dai toni biblici. Le storie erano ambientate nel presente e gli effetti speciali avevano un non so che di artigianale, eppure erano davvero terrorizzanti. Ricordo che mi nascondevo dietro il divano, troppo spaventata per uscire fuori; io avevo dei fratelli maschi, non ero certo una fifona. Ciò che rendeva quei primi episodi così spaventosi era la loro atmosfera, quel senso di guerra fredda, di un’imminente minaccia esterna in arrivo da un mondo simile al nostro, ma più gelido e austero.
Oggigiorno, il mondo di Doctor Who è postmoderno e vasto. È pieno di colore, è surreale ed emana una maggior fiducia nell’uso degli effetti speciali. Non c’è nulla che il programma non possa osare in termini di artifici visivi: vespe giganti; enormi navi spaziali simili a rocce che si librano in volo sul Parlamento; un’invasione di mostri grassi o di catatonici e totalitari cyberuomini. E i vari Dottori sfrecciano attraverso il tempo, riscrivono la storia e, pare, sbucano più volentieri nel passato che nell’infinito ignoto per giocare con gli eventi storici.
Meritano di essere menzionati gli angeli piangenti, statue vittoriane dal volto demoniaco che sorprendono le loro vittime quando queste sono voltate di spalle o hanno gli occhi chiusi. Si tratta di uno splendido tuffo nelle paure ancestrali del buio e della morte. Il fatto è che nessuno va più a nascondersi dietro il divano. Eppure la serie ancora si alimenta dei nostri sogni e dei nostri desideri. Mi sono ritrovata a chiedermi come mai alla gente interessi tanto sapere chi sarà il Dottore. Come mai è visto come un problema personale, e come mai lo è stato anche per me? Come mai il Dottore ha tutta questa importanza? Come mai tutta quella delusione quando ho capito che mi ero lasciata sfuggire l’opportunità di stringere la mano a uno di loro? La risposta è che speravo segretamente che il Dottore esistesse davvero e potesse risolvere ogni problema. Penso che i Dottori sfamino la nostra brama inconscia di un miglioramento della vita pubblica; qualcuno di cui possiamo fidarci, qualcuno che faccia buon uso del suo cacciavite sonico. Il Dottore è l’uomo che ha sempre una soluzione a portata di mano.
Questa è stata la stagione dei congressi di partito; un periodo in cui tutti i gruppi politici hanno l’opportunità di rivolgersi ai loro fedeli sostenitori per illustrare le proprie proposte, avviare dei dibattiti e testare le idee al di fuori di Westminster. Se Doctor Who fosse alla testa di un partito, terminerebbe il suo discorso domandando agli elettori di restare uniti per difendere quel che c’è di buono nella natura umana. È questo che creano gli sceneggiatori: scenari e sfide che, alla fine, celebrano i tratti migliori della natura umana.
Ciò che la politica di oggi non è in grado di offrire è l’ottimismo, mentre si richiama fin troppo spesso agli aspetti più vili della nostra natura, facendo di un particolare gruppo sociale un capro espiatorio o appellandosi alla faziosità. Per esempio, al congresso del partito conservatore, Ian Duncan Smith, Ministro del Lavoro e delle Pensioni, ha proposto che chi è disoccupato da lungo tempo passi cinque giorni alla settimana a iscriversi alle liste di collocamento: "La nostra non è una cultura che dà tutto per nulla”. Nessuno può negare che starsene con le mani in mano, senza impiego, a sopravvivere con il 13% dello stipendio medio nazionale, nell’incapacità di giovare alla società e al mondo, sia un terribile spreco di potenziale e che, forse, questo gruppo di persone dovrebbe essere aiutato a trovare un impiego. Certo, si potrebbe discutere sul cosa, sul come e sul quando, ma ciò non toglie che il messaggio che sta passando sia penalizzante e sommario. C’è una sorta di fanatismo religioso nel modo in cui la lingua viene usata -"Sudarsela, non squagliarsela”- quando si etichettano i disoccupati come "parassiti”. Sarebbe molto meglio se favorissimo e creassimo nuovi posti di lavoro invece di inasprire le barriere tra impiegati e disoccupati. Non sopporterei una cultura della nullafacenza; sono troppo metodista per questo genere di cose. Il mio è un grido di guerra per coloro che sono offesi dal modo distorto in cui identifichiamo chi veramente sta approfittandosi della situazione. Non è una questione di donare agli altri. Anche i media -il Daily Mail- stanno contribuendo a scavare una fossa di meschinità. Rovistare nei diari di un diciassettenne, etichettare come "malvagio” il padre defunto di Ed Milliband (membro del partito laburista) perché marxista, non tenendo conto del fatto che combatté per il suo Paese nella Seconda guerra mondiale, non è soltanto ridicolo; è un richiamo per gente gonfia d’odio e digiuna di ragione. Se il Dottore fosse di passaggio intorno alla luna, sarebbe felice di leggere le 10.000 email personali di supporto che sono state spedite a Ed Milliband subito dopo l’attacco di cui è stato vittima. Quelle email rappresentano migliaia di atti di unione; farebbero battere entrambi i cuori di Doctor Who.
©Belona Greenwood
(traduzione a cura di Antonio Fedele)