Permettetemi di ringraziarvi, di ringraziare l’associazione Pro-Europa e il comitato dei garanti che hanno dato il premio a Jacqueline e a me. Vorrei rivolgere un pensiero particolare a Lisa Foa che non è presente perché ammalata.
Il gesto che viene dall’Italia non mi stupisce affatto, è forse il canto di un’italiana, Antonia Locatelli, che è venuta a dire: "Svegliatevi, sono morta per il Ruanda". Era un’italiana che viveva nel sud-est del Ruanda, che è stata assassinata dal regime genocida. E’ morta assassinata perché gridava aiuto per i piccoli ruandesi di questa regione, l’hanno fatta tacere per sempre. Oggi, nel vedere che è l’Italia il primo paese occidentale a svegliarsi per il Ruanda, mi dico che è merito di Antonia. Penso spesso a lei e alla verità che ha voluto far conoscere e per la quale è morta. Permettetemi di ringraziare Khalida Messaoudi che è venuta dall’Algeria per tenderci la mano e che rappresenta per me Alexander Langer. Tengo a dire a Khalida che spero che potremo avvicinare i nostri due popoli. Sono popoli che soffrono mentre il mondo resta silenzioso. Le chiederò di diventare ambasciatrici dei nostri rispettivi popoli, l’una accanto all’altra. Quando mi hanno parlato del premio, dapprima ho avuto paura e quando mi hanno parlato di Alexander Langer ho avuto ancora più paura, mi dicevo: "Non sono degna di ricevere questo premio perché non posso fare come Alexander", ma nello stesso tempo mi sono sentita molto incoraggiata perché sento di essere solo all’inizio della mia lotta. Non è facile fare coesistere le differenze, non è facile convincere le persone a incontrarsi, non è facile costruire ponti che ci avvicinino invece di creare abissi che ci separano. C’è pochissima gente che dice di sì. Eppure il male non ha un indirizzo fisso, il male e il bene si incrociano sempre: se siamo capaci di fare del male siamo anche capaci di fare del bene e chiedo a tutti noi che siamo qui di cercare di mettere i nostri piedi sulle orme di Alexander.
Oggi, grazie al premio, ho il coraggio di testimoniare quello che ho vissuto, di raccontare la mia esperienza durante il genocidio ruandese. Penso che conoscendo la verità il mio popolo avrà più possibilità di salvezza; testimoniando su quello che è successo in Ruanda la giustizia finirà per essere fatta, non solo in Ruanda, ma anche all’estero e poi, se la giustizia sarà fatta, si aprirà quella che è l’unica strada possibile: la riconciliazione del popolo ruandese. Se prevarrà il silenzio la storia non farà che ripetersi. Quando c’è stata la shoah si è detto: "Mai più niente di simile" e poi c’è stata la Bosnia, c’è stato il Ruanda. Se il mondo continua a comportarsi così le parole "mai più niente di simile" non avranno più alcun valore. Subito dopo il genocidio ruandese -e metto fra virgolette la parola "dopo" perché il genocidio non è finito- il presidente Mobutu è stato invitato in Francia quando erano più di vent’anni che non ci metteva piede. Voi conoscete il seguito e oggi ho letto sui giornali che il presidente Chirac in novembre vuole invitare quel Kabila, che sta perpetrando massacri di innocenti in Congo. Io non ho paura, ho visto la morte, ma anche voi dovete aiutarmi a contestare che gli assassini siano accettati e ricevuti davanti a noi, perché questo è farsi beffa dell’essere umano. Se -come dice Khalida- capiremo che possiamo essere liberi e che gli uomini, che siano gialli, bianchi o neri, sono gli stessi ovunque, penso che il mondo sarà migliore. In ogni modo vi dico un’ultima cosa: non voglio mai deludere Alexander Langer perché là dov’è so che mi sta guardando. Grazie mille.