Andremo a votare tra quattro settimane.
La legge elettorale, peggiore della legge Acerbo, perché non prevede neppure una percentuale minima per far scattare il premio di maggioranza, è la stessa della volta scorsa.
Allora però gli schieramenti contrapposti raccoglievano praticamente tutti i partiti. Sia pure in maniera distorta, la rappresentatività era garantita. Stavolta due leader si contendono un premio che porterà il gruppo di maggioranza relativa, anche risicata e piccola in termini assoluti, ad una sicura maggioranza alla Camera dei deputati. I due inoltre, insieme ai loro collaboratori di fiducia, avranno nominato ogni singolo parlamentare dei loro due partiti.
Alcuni, pochi, altri avranno nominato quel che resta.
Andremo a votare per scegliere un capo, che oltre ad aver nominato la maggioranza del parlamento, nominerà poi centinaia di alti dirigenti di tutto quello che esiste di pubblico.
Aggiungiamo pure che, malgrado i partiti italiani, quando esistevano, non fossero un esempio di democrazia, di regole e di rispetto delle regole, di partiti così privi di rappresentatività e di passato, che è l’unica cosa che siamo in grado di conoscere, non se ne erano visti mai.
Su Berlusconi e i suoi non è il caso di insistere. Ma anche i democratici hanno plebiscitato un capo, che poi ha nominato tutto il resto, con qualche, deprecata, resistenza locale, manifestatasi per motivi ignoti ai più.
Certo ignoti a me, anche nel posto dove vivo.
Infatti nessuno scrive che Veltroni è il segretario dei democratici. Lui è il leader, accidenti!
Molti ne sembrano lieti.
Ma la quasi totalità degli italiani non saprà per chi avrà materialmente votato. E se lo saprà non potrà che piangere perché i pochi candidati personalmente noti e autorevoli, anche nelle liste non a vocazione maggioritaria, sono stati spostati all’altro capo del paese per consentire la nomina di polpettoni assortiti: una radicale e un teocon; un operaio sopravvissuto e un industriale -quello simpatico al leader, mica quello per cui forse voterei volentieri io, se potessi scegliere.
Tutti i partiti si comportano come se fossero in corso le presidenziali americane; come se ci fossero due partiti che giocano per vincere con qualche candidato di disturbo, di cui si descrivono e si esaltano i possibili effetti, desiderati e non.
Ma non è così. La situazione è ben peggiore.
Il candidato alla presidenza degli Stati Uniti non ha già nominato i senatori e i deputati del suo partito e non ha una carica permanente nel partito per cui si candida. Né possiede o controlla reti televisive.
Con la Camera dei deputati e, soprattutto, col Senato, dovrà fare i conti.
Qui tra i sindaci e il Capo ci sono solo i governatori delle regioni, come vengono chiamati per sottolineare l’identificazione col modello americano. E il Parlamento è stato azzerato, anche più dei consigli comunali.
La impotenza di cui si lamentano i governi non è dovuta a un eccesso di bilanciamento delle istituzioni, che è rimasto quello del sistema proporzionale e perciò non c’è più, né a un eccesso di potere del parlamento, ma al potere di blocco, di interdizione, di accaparramento, delle infinite sedi amministrative in cui tutti partecipano a tutto e alla concentrazione del potere centrale in una sola persona.
Per fortuna che tutti volevano il decentramento!
E’ vero che il Senato resta un terno al lotto, che potrà esserci una maggioranza opposta a quella della Camera dei deputati o nessuna maggioranza. E’ vero che la legge elettorale non predetermina il risultato. Che non si sa chi vincerà, o se vincerà qualcuno. Certo continuare a parlare di democrazia rappresentativa è sempre più difficile.
Confesso però che rispetto a quindici anni fa anch’io mi sono assuefatto, mitridatizzato.
Avessi ancora le pretese e le speranze di allora, non riuscirei a stare chiuso in casa.
Per fortuna, penso adesso, la politica non è onnipotente; anzi, conta abbastanza poco nelle cose del mondo.
Dopo tutto anche l’ultimo Capo assoluto che abbiamo avuto, il Duce con la maiuscola, pensava che il numero fosse potenza ma non riuscì a fare la politica demografica che voleva. Voleva spezzare le reni a questo e a quello ma non riuscì a farsi un esercito serio.
Il guaio è che la guerra la fece lo stesso, quella letale, oltre alle varie minori in cui mandò i contadini ad uccidere e a morire.
Non siamo in un periodo di ordinaria amministrazione, in cui più di tanti guai non si possono fare.
Non c ...[continua]

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