Il 2-3 luglio a Napoli si sono tenute due giornate di studio dal titolo "Trame di pensiero e strutture per la promozione di nuove alleanze educative”. Pubblichiamo l’intervento introduttivo di Santa Parrello, Dipartimento di Scienze relazionali G. Iacono, Università degli Studi di Napoli Federico II.

Quando l’Associazione Maestri di Strada mi ha invitata a collaborare al coordinamento scientifico di queste Giornate, mentre facevo una serie di riflessioni professionali sono ritornata con la memoria ad un breve periodo di qualche anno fa.
Ero, per una manciata di ore, la psicologa di un gruppo di dieci adolescenti inseriti in un percorso di lotta alla dispersione scolastica. La tutor andava la mattina quasi casa per casa a svegliare i ragazzi, di età compresa fra i 15 e i 19 anni. Facevo con loro il tragitto dal centro storico alla scuola agraria che ci ospitava un po’ fuori città. In quel pulmino ho scoperto le ricorrenze statisticamente significative dei testi di molte canzoni dei neomelodici napoletani, chiaramente centrati sul tema della gelosia, del tradimento, del matrimonio infelice. Le ragazze erano tre. Le nostre discussioni di gruppo faticose, ma io apprendevo molto, quasi come un antropologo su Marte: esploravo pianeti dai codici culturali lontanissimi dai miei, eppure le dinamiche adolescenziali mi sembravano note.
Una mattina una delle ragazze mi diede furtivamente una lettera: mi raccontava il suo fidanzamento in casa con un ragazzo che ben presto si era rivelato gelosissimo e violento, secondo un canone che tuttavia non la stupiva. E’ consuetudine in certi contesti che i genitori passino ai fidanzati delle figlie il controllo sul loro comportamento di giovani donne, senza aver troppa cura dell’eventuale violenza con cui esso si esercita. Il problema narrato nella lettera era dunque apparentemente un altro, e cioè l’incontro inatteso con un coetaneo, più gentile e sensibile del fidanzato, dal quale la ragazza si sentiva attratta e per questo confessava il suo insopportabile senso di colpa. Da poco si era verificato un fatto di cronaca cittadina, del quale avevamo discusso nel gruppo: l’omicidio per accoltellamento di un adolescente che aveva osato guardare la fidanzata di un altro… Invitai la giovane ad un colloquio su una panchina riparata dell’enorme giardino della scuola, non c’erano altri spazi. Era molto spaventata ma non tanto da non provare a chiedere aiuto. Tuttavia le mie ore previste dal progetto erano quasi terminate. Cercai modalità di prosieguo, inutilmente. Ho avuto notizie di Valeria due anni dopo, per caso: era rimasta incinta di un uomo sposato molto più grande di lei ed era fuggita di casa da sola... Non aveva concluso il suo percorso formativo. Neanch’io: avevo infatti la netta sensazione di un lavoro spezzato, nel quale avevo lasciato intravedere altre possibilità senza poterle poi sostenere. Non so in che modo il legislatore dell’obbligo formativo avesse immaginato quel ruolo di psicologo a ore… Sta di fatto che ho sempre compreso a fondo, credo, gli insegnanti precari che hanno poi lavorato con me, quando raccontavano di percorsi spezzati dal mancato riconoscimento della necessità di continuità didattica. Non si tratta solo di difficoltà a separarsi, a riconoscere i limiti, ma di consapevolezza del fatto che dopo ci sarà un vuoto, per giovani già avvezzi alla solitudine ed alla gestione troppo precoce di problemi da adulti.
I miei insegnanti, alle prese con la prima formazione Sicsi, o con corsi abilitanti dopo un decennio di lavoro da supplenti o da insegnanti che hanno scelto il sostegno per necessità di lavoro; i miei insegnanti delle scuole cosiddette normali o a rischio, hanno sempre generosamente raccontato la quotidianità difficile eppure talvolta entusiasmante, le fatiche, le paure, le frustrazioni, le sconfitte, ma anche la tenacia e le soddisfazioni.
Nelle loro narrazioni (strumento prezioso di formazione e di ricerca) mi è sempre sembrato si potesse vedere bene la realtà della scuola italiana, che consente aree di normalità e di eccellenza, ma che soprattutto sancisce e amplifica le diseguaglianze, discrimina, spreca: spreca le capacità dei docenti lasciandoli soli, spreca le potenzialità degli allievi che potrebbero essere sostenute. Fra i tantissimi racconti che ho stimolato, ascoltato ed utilizzato nella formazione degli insegnanti, c’è quello dell’incontro con Ciro: "Lo scorso anno ho avuto una supplenza annuale -scriveva la docente- [...] s ...[continua]

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