Nella sua introduzione, Gianni Sofri ha descritto estremamente bene la situazione della Signora Ding Zilin, e della Cina in generale. Come pure questo problema costante che incontriamo: l’abisso fra l’universalità e il culturalismo, che consente a governi più o meno di destra, più o meno "benpensanti" -nel senso spregiativo del termine-, di esprimere considerazioni assolutamente choccanti e insopportabili.
Ho conosciuto la Signora Ding Zilin nel gennaio 1994. Ero andata in Cina per incontrare Wei Jingsheng, liberato per un breve periodo dopo 14 anni mezzo di carcere.
Wei Jingsheng è un uomo d’azione, è un uomo che non perde un minuto. Non appena mi ha vista arrivare a Pechino mi ha detto: "Ho qualcuno di molto importante da presentarti, ci tengo assolutamente che tu la incontri, e voglio che lavori con lei". E’ anche un uomo estremamente autoritario e quindi quando vi incontra vi dà degli ordini. Il secondo giorno dal mio arrivo a Pechino sono stata accompagnata da lui a casa della Signora Ding Zilin ed è stato un momento particolarmente sconvolgente.
Questa donna è nello stesso tempo una cinese con tutta la sua specificità culturale, ma è anche il simbolo dell’umanità. E’ una madre che adorava il figlio, che l’ha perduto e la cui vita è cambiata tutto a un tratto. Era un membro del partito comunista cinese, faceva parte di un’élite. Era docente all’università del popolo, una privilegiata, perché sono pochissimi i cinesi che hanno accesso all’università e ancora meno quelli che arrivano ad essere professori. Fino al 1989, aveva fatto parte di un’élite che in un certo modo si tappava le orecchie e chiudeva gli occhi; certo vedeva che il partito comunista cinese poneva qualche problema, che era stato particolarmente violento durante la rivoluzione culturale, ne aveva casomai anche sofferto, ma bene o male ci conviveva, si adattava a certi compromessi intellettuali.
Ebbene, nel 1989 la sua vita è cambiata totalmente: da membro del partito comunista cinese relativamente obbediente, disciplinata, è passata a rappresentare un’opposizione accanita e assolutamente intransigente.
In una notte tutta la sua psicologia, la sua mentalità si sono completamente trasformate. Lei stessa usa un’immagine molto forte: "E’ il sangue di mio figlio che mi ha aperto gli occhi". Da quel momento infatti ha iniziato a pensare di non aver più niente da perdere e quindi si è dedicata completamente a questa lotta: vive solo per questo, vive in questo.
E’ uno spettacolo abbastanza allucinante, quello a cui si assiste entrando nella sua casa a Pechino. C’è una decorazione a dir poco originale. Ancora fino a qualche anno fa le case pechinesi erano estremamente essenziali, semplici, non c’erano molti sforzi nell’abbellimento della casa.
Quindi colpisce molto vedere la ricerca con la quale lei ha decorato il suo appartamento allestendo una sorta di scenografia: un muro di mattoni in rovina e lei che a chi entra in casa sua spiega: "Vedete, è l’immagine della mia famiglia: una famiglia in rovina".
Già potete immaginare l’atmosfera. Comunque, sapendo di andare presso una famiglia ed essendo tradizione in questo caso portare qualcosa, ho comprato una scatola di dolci svedesi che sono particolarmente quotati laggiù. Ecco, appena consegnato questo pensiero, lei ha preso la scatola e la prima cosa che ha fatto è stata di deporla davanti all’altare di suo figlio nella sua camera da letto.
Potete capire come l’atmosfera fosse estremamente pesante: lei che vi trascina nella sua camera da letto e vi mostra che dorme, che vive, accanto all’urna funeraria di suo figlio e che ogni volta che riceve un regalo è prima di tutto destinato al figlio.
Il lutto non è stato superato, è una sofferenza, una lacerazione, un ricordo alimentati costantemente in ogni modo possibile. Ding Zilin è una donna in pieno dolore costantemente. Poi c’è il marito, sempre accanto a lei, che ha tutt’altro carattere, un uomo di una gentilezza straordinaria, di grande presenza umana, che guarda tutto questo con una sorta di simpatia.
Certo, anche lui soffre a modo suo, ma la sua sofferenza è molto meno visibile, è più interiorizzata. Lui scuote un po’ la testa e così, guard ...[continua]
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