Molti si lamentano dei toni del nostro dibattito politico, così come appare in tv e come viene raccontato sulla stampa. L’ingiuria, la provocazione, la bugia fanno parte stabile di un inconsistente dialogo, dove le voci si accavallano, le accuse grossolane si sprecano, le argomentazioni faticano a trovare spazio. E’ diffusa l’opinione che la colpa integrale di ciò sia soltanto dei politici.
In verità, non è che gli attori della politica siano esenti da colpe, ma certo all’elettorato non mancano le occasioni per esprimere il proprio dissenso. Si può ragionevolmente pensare che per 15 anni (il tempo dell’eterna rissa) l’elettorato sia stato solo uno spettatore disarmato?
Ogni politico (e ogni gruppo politico) quando parla o agisce ha perfino troppo in mente il proprio elettorato di riferimento ed è quindi evidente che le proposte che fa, gli argomenti che porta a suffragio, il modo in cui si espone e si propone, sono a suo giudizio quelli che meglio possono fargli fare presa sul suo elettorato di riferimento. Se poi, lo stesso politico supera una, due, tre volte l’esame elettorale significa che la scelta seguita è stata adeguata ad una fetta sufficiente dell’elettorato.
Vi sono politici che si rivolgono all’elettorato che fa opinione: quello sobrio, attento, esperto, memore, con opinioni meditate: per questo puntano sul ragionamento fondato, la concretezza, la coerenza nel tempo; evitano i toni forti, le frasi urlate, le promesse insensate; sanno che i loro estimatori non sono numerosi, ma si aspettano che siano costoro, con la forza degli argomenti, a costruire naturalmente il consenso fra amici e conoscenti.
Altri si rivolgono invece ad un elettorato superficiale e immemore, poco esperto e disinformato, emotivamente suggestionabile; allora per scelta e per comodità (pensare stanca!) usano le invettive al posto degli argomenti.
Fino a qualche anno fa quasi tutto l’elettorato amava i toni duri se erano usati dalla propria parte politica contro i dannati avversari e si irritava invece contro gli avversari, se rispondevano in ugual misura. Oggi non è più così e vi sono molti cittadini che sono diventati allergici ai toni da crociata, da qualsiasi parte provengano.
Ora non vi è dubbio che la persona più insultata nel nostro paese è Berlusconi; raccoglie, da solo, tanti improperi quanti i suoi alleati riversano sull’insieme dei suoi avversari. Non è che l’uomo non ne vada in cerca: le sue vicende giudiziarie, i suoi conflitti d’interesse, le sue battutacce e le sue barzellette sconvenienti, le sue irritualità anche nelle sedi ufficiali, offrono agli avversari argomenti a iosa. Vignettisti, comici, internauti vari gliene sono grati da sempre. In una parola Berlusconi è demonizzato. Non mi interessa dire se a ragione o a torto.
Ciò che però ormai è evidente è che l’antiberlusconismo fa perdere voti e che l’ingiuria, l’irrisione, la denuncia, lo sberleffo nei suoi confronti lo rafforzano invece che demolirlo. Non vi è dubbio, peraltro, che le accuse al premier fanno salire il consenso all’oratore che parla davanti alle platee di centrosinistra.
L’elettorato di centrosinistra continua ad apprezzare e ad applaudire i discorsi di quei politici che solleticano la sua rabbia, ma che lo portano a continuare a perdere le elezioni.
Perché non capisce che quelli nel centrosinistra che continuano a parlare contro Berlusconi invece che fare proposte, o sono totalmente stupidi, o dolosamente sono disposti a fare danno al proprio schieramento, pur di affermarsi all’interno della propria parte politica?
Francesco Giuliari